Mangiare sapendo che cibo si sta ingerendo comporta un po’ di attenzione: individuale, collettiva e normativa. A maggior ragione ora che finalmente abbiamo in tanti sviluppato una certa consapevolezza che “buon cibo fa buon sangue” *. Ce n’è, ovviamente, per tutti i gusti: quelli che sono solo “bio” o parzialmente “bio” e continuano a mangiare tutto; i vegetariani; i vegani; i fruttariani; i macrobiotici… e chissà quanti ce ne sfuggono.
Il problema che solleviamo si pone per il rapporto tra la cultura alimentare dominante e quelle che, via via, per scelte individuali più o meno consapevoli, vengono considerate alternative. Innegabilmente è dominate la persona
onnivora e, in questo dominio si fa molto spazio il consumo “bio” **. E mentre avanzano le culture
vegetariana e
vegana, sono molto diffusi i
consumi “misti”, cioè da parte di coloro che, pur non avendo fatto una scelta unica, spaziano da una cultura all’altra, tra curiosità, desiderio ed esperimenti. Questo consente a mercati più ristretti come il vegano e vegetariano, di cercare consumatori con incursioni nel più ampio mercato degli onnivori.
Questo crediamo sia alla base di prodotti che vediamo pubblicizzati come, per esempio,
“hamburger vegano” o
“salsiccia vegana” ***.
E’ questo un messaggio di chiarezza alimentare o piuttosto un “a ndo cojo cojo”? ****
E’ evidente che si tratta del secondo. Oggi vendono l’hamburger o la salsiccia senza carne e grassi animali, ieri vendevano concentrati per brodo proposti da stereotipi di casalinghe mozzafiato dicendoci che dentro c’erano tutti i vegetali che natura produce… domani… è probabile che si cimenteranno con il nascente mercato di insetti edibili *****.
E mentre
cercano di rendere “meno traumatico” per un onnivoro il gustare un prodotto vegano, facendogli credere che sta compiendo un gesto usuale e senza sorprese (l’hamburger in merito è un perfetto stereotipo)… di fatto
stanno prendendo in giro il consumatore. Cioè viene applicato un meccanismo che va contro tutti i progressi (e le campagne) civici e scientifici che negli ultimi decenni hanno fatto sì che il consumatore sia sempre più consapevole del proprio ruolo nella scelta, per sé e per la comunità. Non solo. Ma con questa storia dell’”hamburger vegano”
stanno facendo violenza ai principi che sono alla base di una scelta alimentare e filosofica come quella vegana: nonviolenza, scelta individuale condivisa e consapevole. Una violenza con l’inganno lessicale e non solo: come se mangiare un prodotto vegano possa essere equiparato al gusto di un prodotto animale.
“Ceci n’est pas un steak”
In questo contesto è in corso in questo periodo una
mobilitazione degli operatori del settore zootecnico. Che se anche (probabilmente) ispirata e stimolata da interessi di mercato e non certo filosofici e culturali,
ci accomuna per la richiesta di fondo che propone:
NO all’inganno, usiamo la chiarezza.
“Ceci n’est pas un steak”,è lo slogan di questa campagna. “Questa non è carne”. Con tanto di manifesto e attivazione di parlamentari europei per far sì che, lì dove si prendono queste decisioni per tutta l’Unione, si usi buon senso, ragionevolezza e rispetto per tutte le culture alimentari, nonché per l’intelligenza dei consumatori.
Qui i dati di questa campagna
NOTE
* l’ispirazione è da uno storico detto
“buon vino fa buon sangue”…
** qui recenti dati di crescita di questo mercato
*** e crediamo si usi il termine “
vegano” piuttosto che “
vegetariano” per due motivi: perché quest’ultimo è desueto (dopo che anche l’ex-presidente Usa Bill Clinton ha fatto fede di veganismo), e perché le forme più “estreme” (come il vegano è rispetto al vegeteriano), secondo i creatori di campagne mediatiche e i titolisti di quasi tutti i media, “scandalizzando” credono di attirare meglio l’attenzione dei consumatori.
**** slang per significare: non importa quale sia il risultato, basta che ce ne sia uno
***** mercato in grande espansione
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