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Il mondo al cospetto di calamita' naturali. Dalla calma all'isteria
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Articolo di Redazione
22 marzo 2011 9:47
 
Ogni cultura ha il proprio modo d'affrontare le catastrofi. Malgrado la sua buona preparazione, il Giappone è stato colpito duramente. Gli studiosi di Heidelberg (Germania) analizzano il comportamento dell'uomo di fronte al pericolo e si chiedono se un disastro possa dare dei vantaggi politici.

Impianti industriali in fiamme, masse d'acqua che trascinano con sé tutto quanto capita a tiro, persone che cercano riparo sui tetti delle case. Il Giappone ha subito uno dei più gravi terremoti della sua storia, e un potente maremoto ha aggravato ulteriormente la situazione. Ancora non si sa quante siano le vittime, i danni materiali sono nell'ordine di miliardi, a ciò s'aggiunga il rischio nucleare dopo i problemi riscontrati nella centrale di Fukushima.
Almeno per quanto attiene al rischio sismico, il Paese si era ben premunito fino a un certo grado di scosse. "Il Giappone è una nazione sismica per eccellenza", dice lo studioso di catastrofi Gerrit Schenk a Spiegel online. Il Paese è culturalmente e tecnicamente ben attrezzato contro questo tipo di violenza della natura. "C'è un reale addestramento in caso di catastrofe". Per esempio, una volta all'anno la gente va a lavorare a piedi -un esercizio per quando non fosse più possibile usare i mezzi di locomozione a causa di problemi tecnici.
Gerrit Schenk dirige l'ente Cultures of Disaster del gruppo di eccellenza Asia and Europe in a Global Context dell'Università di Heidelberg. Un gruppo di esperti esamina come si comportano le diverse culture durante le catastrofi naturali, come si preparano a eventuali disgrazie e come le elaborano. Gli eventi estremi aiutano infatti a mettere a fuoco le società colpite, soprattutto il loro atteggiamento verso la natura, dice Schenk. "Le culture umane sono sempre in relazione alle strutture naturali".
Da tempo immemorabile l'ambiente plasma l'impianto socioculturale e il suo sviluppo.
- La lotta secolare contro il Mare del Nord ha inculcato negli olandesi un rapporto tutto particolare con la natura. Sfidano gli elementi e una tenace opposizione è considerata virtù civile. "Luctor et emergo", lotto ed emergo, è il motto riportato sullo stemma della provincia di Zeeland fortemente battuta dai marosi.
- In Usa le persone fanno affidamento soprattutto su se stesse. Quando nel 2005 l'uragano Katrina devastò New Orleans, molti cittadini non vollero abbandonare le loro case, e per gli studiosi è indicativo di quanto la società statunitense sia individualizzata.
- Viceversa, con il suo ferreo regime socialista, nell'Isola di Cuba vengono eseguite evacuazioni modello a ogni minaccia di tempesta tropicale.
L'agire umano e il modo di trattare i rischi determinano in modo decisivo il corso di una catastrofe. In una zona disabitata un'inondazione non causa nessun disastro. "Sono i modelli culturali di un insediamento a essere determinanti", spiega Schenk. E naturalmente le condizioni economiche. Giacché sono i poveri a essere solitamente i più colpiti. A fine estate del 2010, nella metropoli indiana di Delhi è straripato il fiume Yamuna. Nelle zone dell'inondazione vivevano i gruppi più emarginati della città -operai stagionali, mendicanti e intoccabili, cacciati dagli altri quartieri per salvaguardare l'immagine di una grande città moderna. Di colpo, quella gente si è trovata letteralmente con l'acqua alla gola. Ma l'origine di quella situazione risale a tanti anni prima, con la pianificazione urbana carente e il sistema delle caste.
Sono proprio i nessi culturali che Schenk e i suoi colleghi pongono meticolosamente sotto la lente. "Cerchiamo di guardare alle catastrofi naturali non come a un evento, ma a un processo. Non basta investire in cemento armato. Dobbiamo analizzare i rapporti sociali allo scopo ultimo di salvare più vite umane".

"Forse dobbiamo semplicemente vivere con le catastrofi"
E tuttavia, anche la migliore prevenzione non è in grado di evitare tutto. Lo dimostra la situazione attuale in Giappone. Forse ci tocca convivere con le catastrofi, dice Schenk. Ma interessante è anche l'atteggiamento culturale rispetto alle minacce e il modo come le percepiamo. Ogni anno in Germania ci sono migliaia di vittime della strada, eppure nessuno usa il termine catastrofe, usato invece per le alluvioni.
E dopo ogni evento estremo parte il cosiddetto blame game, ossia la caccia ai colpevoli. Schenk: "Qualcosa che sembra accomunare tutte le culture". In Europa come in Asia e altrove. Una volta si indicava Dio quale massimo artefice dei cataclismi. Un disastro era visto come la punizione contro l'agire umano peccaminoso. Così, il senato della città di Firenze, dopo il terremoto del 1542 emanò delle norme particolarmente severe contro la sodomia e la blasfemia.
Tracce di questo modo di pensare si trovano ancora nella nostra società occidentale. Si pensi per esempio alla definizione  "eco-peccatore". Specialmente nel dibattito sul livello dell'acqua alta dei fiumi compare sempre la "variante secolarizzata" del mondo medievale. "Oggi è madre natura a vendicarsi se ci comportiamo male" -vedi la deforestazione o la cementificazione dei corsi d'acqua. Ma nessuno che gli attribuisca un significato religioso.
In Giappone, dice Gerrit Schenk, la catastrofe attuale non dovrebbe dare adito alla caccia al colpevole. "Che cosa dovrebbero fare di più per premunirsi?" Diversa la situazione del terremoto a Kobe nel 1995, quando un sistema cialtrone di costruire -dovuto anche alla corruzione- fece crollare numerosi edifici. Se mai, questa volta si potrà discutere degli eventi drammatici nella centrale di Fukushima. La società di gestione Tepco dovrà pur rispondere alle molte domande e critiche. In Germania il dibattito sul nucleare è in pieno svolgimento, e la cancelliera Angela Merkel ha annunciato che i sette impianti più vecchi dovranno essere provvisoriamente staccati dalla rete.
Dice Schenk: "Nelle calamità naturali si produce quasi sempre una politicizzazione dell'evento". Si pensi agli interventi di Gerhard Schroeder per l'esondazione dell'Elba in piena campagna elettorale nel 2001. O a quello che è successo nello Stato federale indiano Gujarat: dopo il devastante terremoto del 2001, varie fondazioni religiose, sia induiste sia musulmane, si impegnarono in progetti per la ricostruzione con il chiaro intento di amplificare la loro influenza. Ma con scarso profitto. E Schenk chiosa: "La strumentalizzazione politica ha una ricaduta piuttosto modesta. La gente non è stupida".

(articolo di di Kurt F.de Swaaf per Der Spiegel, 20-03-2011. Traduzione di Rosa a Marca)
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