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Una nuova proposta sul suicidio assistito
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Articolo di Lord Joffe *
28 luglio 2010 12:59
 
Per la stragrande maggioranza dei malati terminali, la soluzione alle loro sofferenze risiede nella qualità delle cure palliative, che sostengo con entusiasmo. Ma c'è una piccola ma significativa minoranza di malati terminali per i quali le cure palliative non sono una soluzione adatta e che soffrono terribilmente fino alla morte. Alcune di queste persone desiderano porre fine alla loro sofferenza togliendosi la vita. E per fare questo hanno bisogno di aiuto in modo da consentire loro di portare a termine la vita con dignità in un momento e in un luogo di loro scelta, che normalmente e' a casa propria circondati dai propri cari.
Tuttavia con la legge attuale (in Gran Bretagna), aiutare una persona malata terminale che soffre terribilmente a morire su sua richiesta è considerato un reato punibile a norma del Suicide Act del 1961 fino a 14 anni di reclusione.
L'unico modo per evitare tale sofferenza mi sembra essere quello di cambiare la legge, in modo da consentire a questi pazienti di ricevere legalmente assistenza a morire. Il suicidio assistito sarebbe, in queste circostanze, una risposta compassionevole ed etica ad un bisogno disperato. Una risorsa utile piuttosto che un danno, e complementare alle cure palliative piuttosto che in contraddizione.
Il principio alla base di questa mia proposta di modificare la legge è il diritto umano di tutti gli individui di decidere autonomamente come condurre la propria vita, diritto che include la scelta su come e quando morire nel momento in cui la vita volge al termine. Tuttavia, è chiaro che tale diritto deve essere soggetto a una limitazione, ovvero nel porre fine alla propria vita i pazienti non devono indirettamente nuocere ai soggetti vulnerabili nella società.
Ne consegue che, nel soddisfare il bisogno di alleviare la sofferenza di alcuni individui, ci si deve prender cura di non compromettere in generale la vigente normativa: pur consentendo il suicidio non propone di incoraggiarlo e protegge i cittadini dall'essere incoraggiati o spinti a porre fine alla loro vita.
Si deve concedere anche adeguato rispetto alle opinioni di coloro che sono contro il suicidio assistito. Tuttavia, essendo questi ultimi una piccola minoranza, non dovrebbe essere consentito loro, salvo giustificato motivo, di imporre le loro credenze e punti di vista alla maggioranza delle società che non è d'accordo con loro.
Nelle proposte di legge presentate in passato, coloro che avrebbero dovuto valutare se approvare o meno la richiesta di assistenza a morire erano membri della professione medica.
Tuttavia, è emerso chiaramente che i medici, gli infermieri e gli altri operatori sanitari hanno forti perplessità sul loro personale coinvolgimento nel suicidio assistito, spesso indipendentemente dal fatto che si oppongano o meno a una modifica della legge. La loro reazione istintiva non è di aiutare a morire, il che è comprensibile visto che hanno scelto la loro professione per curare i pazienti, prevenire che si ammalino e, nel caso di pazienti malati terminali, per alleviare le loro sofferenze nel processo di morte.
Di conseguenza, ciò che ora propongo è di escludere i medici dal processo di indagine e di decisione, che dovrebbe invece essere di competenza di un organo giurisdizionale come il giudice ordinario, il giudice tutelare o tribunali appositamente convenuti per questo scopo. Questo sarebbe coerente con il ruolo attuale dei giudici ordinari, che decidono quando possa essere concesso a un paziente in stato vegetativo da lungo tempo il diritto di essere lasciato morire, e con il ruolo del giudice tutelare che oggi determina la capacità mentale in relazione alle direttive anticipate di trattamento.
I giudici o un altro organismo giurisdizionale avrebbe la responsabilità di fare le indagini e determinare se un malato terminale con sofferenza insopportabile debba essere autorizzato a richiedere assistenza a morire. Essi sarebbero tenuti a prendere questa decisione in un quadro normativo che includerà i principi, le restrizioni e le garanzie che ho proposto.
Quando viene autorizzata l'assistenza a morire, i tribunali dovrebbero inoltre autorizzare la prescrizione letale di farmaci al paziente, e in numero molto ristretto di casi in cui il paziente è fisicamente impossibilitato a ingerire i farmaci, dovrebbero autorizzare altri mezzi di auto-somministrazione per permettergli di togliersi la vita. Il punto chiave è che la responsabilità per l'atto finale riposa comunque sul paziente.
Il farmaco e i mezzi per l'auto-somministrazione sarebbero resi disponibili solo dopo un periodo di attesa, e spetterebbe ai pazienti decidere quando ingerire il farmaco oppure cambiare idea e non ingerirlo affatto.
L'auto-somministrazione è un'importante garanzia contro possibili influenze indebite, in quanto non esiste prova migliore di una decisione presa liberamente e volontariamente dal paziente.
Io non sono a favore dell'eutanasia volontaria, in cui è un terzo che pone fine alla vita del paziente. Il suicidio assistito fornisce infatti una soluzione a tutti i malati terminali che desiderano porre fine disperatamente alla loro sofferenza. Non ci sono quindi vantaggi nella modifica della legge per consentire anche l'eutanasia volontaria.

* Lord Joffe è membro della Camera dei Lord del Regno Unito. Questo articolo è apparso sul sito del quotidiano 'The Guardian'.
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