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Osare il sogno della libertà. Chi perde la fiducia, perde tutto
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Articolo di Redazione
2 gennaio 2020 13:43
 
 Quattro anni fa, il 31 dicembre 2015, il mio pranzo di san Silvestro consistette di zuppa di di lenticchie, cosce di pollo e Tel Kaday?f [dolce turco]. Invece di condividerlo con gli amici, dovetti prenderlo da solo, perché a quel tempo ero in una cella di isolamento [in Turchia]. Mi versai del succo di ciliegia nel bicchiere del tè, che almeno somigliava ottimisticamente a del vino, che in prigione non era permesso. Quando lo schermo della televisione fece vedere con quale giubilo in tutto il mondo veniva salutato l’anno nuovo, chiamai attraverso la porta di ferro il mio vicino di cella e gli gridai: “Buon anno!”. E ci augurammo reciprocamente che il nuovo anno ci portasse la liberazione.
Allora stavo leggendo il libro di Viktor Frankl, “Dire di sì alla vita nonostante tutto”. In esso l’autore narra di un aiuto primario di un campo di concentramento, che era stato colpito dall’evidente aumento dei casi di morte, registrato nel lager l’ultima settimana del 1944 e la prima del 1945. Eppure il lavoro non era diventato più gravoso, né il cibo era guasto, e non era neppure scoppiata una nuova epidemia. Ma il tasso di decessi era esploso, perché i prigionieri erano partiti dalla ingenua speranza di essere liberi entro la fine dell’anno. Col nuovo anno si era avvicinata la delusione. Senza speranza non c’era più niente che tenesse in vita i prigionieri. Perdere il senso della vita, così dice il libro, significò perdere la vita. Come aveva detto Nietzsche: “Chi ha un perché per cui vivere, può sopportare quasi qualsiasi come”. La maggior parte di noi si lamenta oggigiorno del “come”, perché gli manca il “perché”. Con tutto ciò oggi noi abbiamo più “perché” di prima. Così, per esempio, la carsificazione del nostro pianeta, l’ascesa dei vandali, le grandi ondate migratorie o l’epidemia di razzismo – tutto ciò ci offre un motivo per il quale merita lottare – una causa, uno scopo, un avversario.
Ma chi ha perduto la speranza, pensa che il pianeta non si possa più salvare, la violenza non si possa più fermare e che il vandalo come tale sia invincibile. La disperazione repressa spinge gli spiriti stanchi in un vuoto di senso. E molti che presumono di aver trovato il senso, sulla lista delle cose da fare scrivono semplicemente “guadagnar soldi”, “Carpe diem” o “pensare solo a se stessi”. Così l’esperienza dei morti della fine del 1944 nel campo di concentramento ammonisce che la perdita di senso equivale alla fine della vita.
Ci sono persone che inizieranno il nuovo anno su un gommone nell’Egeo con un neonato in braccio e la preghiera di raggiungere in sicurezza la riva. Altre con gli auguri di guarigione per un parente che è in terapia intensiva, altre ancora nella speranza di fare un banchetto la mattina di capodanno coi resti del menu di san Silvestro gettati nella spazzatura. E innumerevoli prigionieri in isolamento, che pensano, scrivono e dicono: “Che il mondo sia un luogo migliore!”, entrano nel nuovo anno col loro sogno di libertà.
Alle soglie del 2020 non dimenticatevi di tutte queste persone. Se il neonato affoga nell’Egeo, se al malato non viene offerta una mano soccorrevole, se a colui che vive di ciò che trova nella spazzatura non viene assicurato un livello minimo di vita e se le opinioni differenti vengono censurate e punite, il mondo perde il proprio senso. Con tutto ciò la pace, che noi disperatamente desideriamo per il nostro mondo esausto, potrebbe essere più vicina di quello che pensiamo.

(Articolo di Can Dündar su “Die Zeit” n. 1/2020 del 27 dicembre 2019)
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