Propongo due “paginette” (134-135) di altissimo peso specifico di Paolo Rumiz, dal suo "La rotta per Lepanto", pubblicato quest’anno, ma scritto evidentemente al tempo della guerra dell’Iraq, come si capisce da un riferimento qui sotto a Bagdad, quindi alla seconda guerra del golfo del 2003, visto che si accenna anche a Sarajevo, la città distrutta tra il 1992 e il 1995.
Questa riflessione, per come la sento io, vale anche per l’oggi, per la tragedia della guerra, iniziata un anno fa col proditorio atroce attacco di Hamas contro Israele, guerra che, lungi dal vedere la fine, si sta allargando a tutto il Medio Oriente. E, se ci mettiamo la guerra in Ucraina, scatenata dall’insaziabile fame di Vladimir Putin, ecco che siamo di fronte a una guerra totale. Anche noi ne siamo coinvolti. Lo scontro, la smania di prevalere sugli altri, trasformandoli da esseri umani uguali a noi in nemici, sta distruggendo questa parte di mondo, e non solo. Ma non è tardi per diventare, noi, almeno noi gente comune, consapevoli del rischio attuale e spingere i nostri governanti ad attuare politiche anche interne di comprensione reciproca, di accoglienza dei diversi, come faceva Venezia nel suo periodo d’oro. Sì, dobbiamo spingere questi nostri governanti, tentati dal ripiegamento sul “prima io”, a fare una politica seria da “pontefici”, uguale “costruttori di ponti”, e non da dinamitardi che distruggono i pochi ponti restati in piedi.
Ma basta: lascio chi passa da queste parti alla prosa documentata e appassionata di Paolo Rumiz. Facciamone tutti tesoro.
“Un tango balcanico di Goran Bregovic, cantato da Césaria Évora. Piero, il comandante filosofo, sorseggia
ouzo, ricorda che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Persino la guerra chimica, persino quella batteriologica esistevano già allora. Turchi e cristiani si avvelenavano i pozzi, Venezia pensò di diffondere la peste nelle linee nemiche, Roma buttò il sale sulle rovine di Cartagine. Ci sono sempre stati lo spionaggio, i sabotaggi, gli attentati, la crudeltà.
Cos’è cambiato, dunque? Quale catastrofe sta avvenendo in Iraq? Forse la fine della conoscenza reciproca, forse una peste che uccide la percezione della complessità. Non sappiamo niente dell’altro mondo. Non abbiamo capito Sarajevo, che sta dietro l’angolo di casa, e allora come facciamo a capire Bagdad? Dobbiamo ribattezzare i Balcani ‘Balkanistan’, per capire? Perché l’Europa non gioca un suo ruolo in Medio Oriente? Perché il mondo che ha dato Socrate e Virgilio non sa imporsi sul pensiero atlantico? Perché in Israele i sefarditi, gli ebrei mediterranei capaci di capire gli arabi, contano sempre di meno? Perché i fondamentalisti sauditi guadagnano terreno e il misticismo tollerante dell’Islam decade?
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Ci manca Venezia e la sua anima bizantina. La Serenissima conosceva l’avversario, lo capiva. Dopo Lepanto scrisse fenomenali barzellette e canzoni satiriche sui pianti del Sultano davanti alla sua armata che s
e andò in beccaria [macello]. Non era solo esorcismo, era la ri-umanizzazione del nemico col quale bisognava trattare. Venezia maledisse
Maometto bùsaro inquo e can, ma non fu mai arrogante e produsse montagne di libri su usi e costumi del Turco. Alle sue delegazioni consentì di operare in sicurezza anche negli anni di guerra.
'Se ‘ndé dal sultan dei turchi’, dicono ancora oggi le mamme ai bambini, ‘parlèghe in venezian. El ve ga da capir’.
Venezia poteva permetterselo perché stava nel mezzo. Era ‘ambigua’, così come la rimproveravano il papa e la Spagna. Proteggeva ebrei, musulmani e armeni perché ne aveva bisogno per capire l’Oriente. Oggi il mondo gira solo verso Ponente. L’Europa ha europeizzato l’America, oggi l’America americanizza la Cina. E la Cina americanizzata, cinesizzerà anche noi. Un incubo”.
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