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Prenotare un acquisto e trovarsi con l’azienda fallita. Rinfrescarsi le idee a partire dal caso di ‘Mercatone Uno’
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Articolo di Vincenzo Donvito
28 maggio 2019 12:50
 
 La vicenda del fallimento della cosiddetta “Ikea italiana” (povera Ikea...) “Mercatone Uno” è tornata sulle cronache dopo il fallimento della Holding che la gestiva e che aveva preso in gestione questa azienda, in amministrazione straordinaria dal 2015, da solo nove mesi dopo che, ad agosto scorso, le era stata venduta dai tre commissari di questa amministrazione straordinaria, che ora la riprendono in mano. Le vicende finanziarie, occupazionali e creditizie sono cronaca, mentre rimangono una sorta di “nulla” le storie di chi (sembra siano circa 20 mila) aveva versato qualcosa come 3,8 milioni di acconti per ordinare una merce che non ha ritirato prima della chiusura. “Nulla” per il fatto che gli acquirenti, nella ipotetica divisione di quanto dovrebbe/potrebbe essere rimasto del patrimonio, non sono “creditori privilegiati” al pari di dipendenti e fornitori: una situazione in cui abitualmente queste persone rimangono senza nulla.

Questa di “Mercatone Uno” è occasione per mettere i puntini sulle “i” di situazioni come questa, che accadono e finiscono sempre male per chi ha un acquisto o un servizio in sospeso, dal venditore di mobili ad uno studio dentistico o ad un mediatore di trading online.

Prima di tutto c’è da mettere sul “chi va là” rispetto a facili promesse (che spuntano come funghi, soprattutto in Rete, e in particolare per le vittime del trading online, falliti o spariti che siano gli operatori) di chi, magari facendosi pagare un qualche acconto, invita a usare il proprio servizio per recuperare i soldi versati: il fatto stesso che chiedano soldi in anticipo per un recupero e non, magari, una percentuale su quanto recuperato e da trattenere solo ad operazione conclusa, la dice lunga sulla reale utilità ed onestà di queste proposte.

Poi ci sono coloro che, magari anche in buona fede, chiedono che sia lo Stato a farsi carico dei crediti di queste persone. E’ di ieri una richiesta dell’associazione Codacons: “...chiediamo ... al Governo di attivarsi per tutelare i cittadini coinvolti nella chiusura dei punti vendita di Mercatone Uno, garantendo loro il rimborso di quanto pagato nei casi di mancata consegna della merce, istituendo un apposito fondo di garanzia''. Cioè l’intera comunità, lo Stato, si dovrebbe far carico di garantire ad un privato che acquista da altrettanto privato, che il suo acquisto sia garantito. Senza neanche tanto estremizzare, sarebbe come chiedere allo Stato di garantire che la verdura e la frutta acquistata dall’ortolano siano buone, ché in caso contrario tutti gli altri cittadini devono pagare per rimborsarmi di questa cattiva qualità. E’ una estremizzazione, ma il concetto è lo stesso: il Leviatano a garanzia di tutto. Neanche le rappresentazioni letterarie e cinematografiche di George Orwell sono arrivate a tanto…. Ma forse abbiamo sottovalutato la fantasia di chi crede che lo Stato ci debba garantire e assistere dalla culla alla bara: una sottovalutazione che in un’economia di libertà monca come la nostra, non ci vergogniamo a valutare come una nostra pecca o illusione del contrario.

Oltre queste due situazioni c’é la realtà

Che è quella che ci preme evidenziare, per amara che possa essere in casi del genere.
Quella di consumatori che decidono di acquistare un prodotto o un altro, in un luogo o in un altro, rispetto a quello che viene offerto dal mercato. Pieno di insidie, per carità, ma proprio per questo “mercato” e non monopolio (ed associazioni come Aduc cercano di dare una mano a non essere vittime di queste insidie). “Mercato” perché, grazie alla concorrenza, consente una ampia scelta di prezzi e qualità. In cui districarsi è meglio che non acquistare, per esempio, il frigorifero unico prodotto dallo Stato… per cui vale la pena di correre il rischio di essere anche gabbati, truffati o magari di scegliere in modo superficiale facendosi ingannare da apparenze o semplici e facili occasioni… e non essere costretti al frigorifero unico che, proprio perché tale, presuppone che le esigenze di uso e consumo siano uniche e stabilite dallo Stato. E’ questa la leva delle economie e delle culture dei cosiddetti Paesi occidentali… di cui, al momento, sembra che facciamo ancora parte.

Realtà che può portare un consumatore anche a finire a “gambe all’aria” come sembra sia accaduto nel caso di “Mercatone Uno”. Il consumatore ha scelto di acquistare da questo negozio per tanti e diversi motivi, ed ha fatto un patto (contratto) che se non rispettato da uno dei due contraenti, ci sono le leggi a cui appellarsi per costringere la parte inadempiente a non essere più tale (codice civile, codice penale, norme antitrust, codice del consumo, etc). Ma se il consumatore non ha più soldi per far fronte al proprio impegno verso il commerciante, quest’ultimo può cercare di rifarsi sul patrimonio del consumatore, nei modi e nei limiti dell’esistenza di questo patrimonio. E viceversa: se il commerciante non è più in grado di mantenere il proprio impegno contrattuale, il consumatore può cercare di rifarsi sul patrimonio (restante come nel caso di fallimento) del commerciante. Stiamo parlando di regole base della nostra economia, dove entrambi i contraenti sono uguali di fronte alla legge.

Così, almeno, abbiamo capito che funziona il mercato, pur nella sua non piena libertà come quello del nostro Paese.

Ad ognuno le proprie responsabilità. Forse i soggetti più deboli (spesso i consumatori) non sono consapevoli di queste responsabilità, ed allora è proprio il caso che si facciano istanze e richieste perché fin dalle prime scuole si sia messi in grado di avere questa consapevolezza (coscienza e conoscenza civica), ma chiedere che la consapevolezza del consumatore sia sostituita da quello dello Stato (cioè dai soldi di tutti gli altri), ci sembra proprio una cosiddetta bestemmia.
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