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Le preoccupazioni di Erdogan. Il prossimo esame del Presidente: le elezioni amministrative
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Articolo di Redazione
25 settembre 2018 15:43
 
 Dopo le elezioni presidenziali e parlamentari [di fine giugno] la Turchia attende, con le elezioni amministrative [novembre 2018], un terzo esame. Il partito AKP, che è al governo dopo avere vinto, sia pure con fatica, ambedue le prime elezioni, si mobilita per questa ultima tornata elettorale. L’opposizione ha perso tutte le speranze di una partecipazione al governo e finora è riuscita a mettere la sua scarsa energia soltanto nei comuni da essa governati. Nelle città della costa è forte il socialdemocratico CHP [Partito popolare repubblicano], nelle regioni curde è forte lo HDP [Partito democratico dei popoli] . Per meglio dire, là ambedue sono in difficoltà e respirano a fatica, avendo possibilità limitate. Il governo ha preso diversi provvedimenti per tagliare ancora questa trachea. Ai primi di agosto un decreto ha imputato allo stato i budget comunali. In questo modo l’autonomia regionale è abolita de facto.
Quasi 100 comuni governati dallo HDP sono stati posti sotto amministrazione giudiziaria durante lo stato di emergenza a motivo di un presunto sostegno al terrorismo, la maggior parte dei loro sindaci sono in prigione. In queste regioni le elezioni potrebbero diventare difficili.
Il CHP, dopo la sconfitta elettorale, è andato in uno stato di shock ed è occupato in dispute interne. E’ una cosa che Erdogan ha voluto sfruttare e, proprio come aveva fatto con le elezioni del Parlamento, ha anticipato a novembre le elezioni amministrative previste per il prossimo marzo, allo scopo di tirare a sé anche il potere nelle regioni. Ma non è riuscito a convincere il suo partner nazionale, lo MHP [Partito del movimento nazionalista].
La chiave delle elezioni amministrative si trova a Istanbul. “Chi perde Istanbul, perde la Turchia”, suona un detto popolare della politica turca. Anche Erdogan raggiunse i primi gradini del potere con l’elezione a Sindaco di Istanbul, nel 1994. Da allora non ha perso una elezione comunale a Istanbul. Nelle elezioni nel giugno scorso in questa città raggiunse il 50 per cento alle presidenziali, ma il suo partito, nelle elezioni parlamentari, raggiunse solo il 42 per cento. La forbice tra il carisma personale e i voti per il suo partito, una conseguenza inevitabile dei regimi di un uomo solo, inquieta Erdogan. Nei viaggi ha visto che la gente del partito lo applaudiva, ma i sindaci locali del suo partito lo fischiavano. Per questo ora attacca, fa fare sondaggi, cerca nuovi candidati, intima ai suoi funzionari di mescolarsi tra il popolo “in incognito” e sentirgli il polso.
Se ai partiti di opposizione riuscisse, nelle province dove sono deboli, di sviluppare una strategia di alleanze, con la quale sostenere i più forti di loro, essi sarebbero superiori al governo. E così sarebbe messo un freno al sogno di Erdogan di avere il potere assoluto.
Il pericolo maggiore agli occhi del presidente sta però nel fatto che sulle elezioni influiscano le conseguenze della crisi economica, che quella protesta, che l’opposizione non ha realizzato, venga provocata dalle saracinesche chiuse, dai debiti inestinguibili, dai bilanci familiari in dissesto. Uno sguardo ai dati fa apparire tutto ciò inevitabile. E’ questo il motivo per il quale Erdogan adesso lascia uscire dal carcere un paio di prigionieri e si mette a viaggiare in occidente.
(Articolo di Can Dündar da “Die Zeit” n. 36/2018 del 29 agosto 2018)
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