Com’è noto , i tempi biblici della giustizia italiana non consentono ai cittadini che adiscono la competente autorità giudiziaria, di soddisfare velocemente ed integralmente i propri diritti
1, rimanendo vittima della Giustizia stessa, ed intrappolati in processi lunghi, estenuanti e quanto mai dispendiosi.
A prescindere da quelli che possono essere i motivi che determinano queste lungaggini processuali , è opportuno rammentare in tale sede , come il diritto ad un procedimento celere è persino garantito dalla nostra Costituzione ed ogni cittadino che ha subito un giudizio (di Primo Grado, di Appello o di Cassazione) di durata eccessiva può richiedere il risarcimento del danno per eccessiva durata
del processo entro sei mesi dalla conclusione dello stesso , ovvero dal momento in cui la sentenza è divenuta definitiva ed indipendentemente dall'esito positivo del giudizio.
La legge Pinto ha rappresentato senza dubbio la risposta effettiva agli esasperanti tempi processuali prevedendo il diritto a un'equa riparazione del danno per tutti coloro che hanno subito un irragionevole durata del processo ,
ovvero superiore ai tre anni per il Primo Grado, ai due per l’Appello, a uno per la Cassazione.
Come rammentato anche nelle rilevanti pronunzie delle Sezioni Unite (sentenze 1338/2004 e 1340/2004), l'approvazione della l. 89/2001 (la c.d. legge Pinto) è stata "
determinata dalla necessità di prevedere un rimedio giurisdizionale interno contro le violazioni relative alla durata dei processi in modo da realizzare quel principio di sussidiarietà dell'intervento della Corte di Strasburgo sul quale si fonda il sistema europeo di protezione dei diritti dell'uomo" e dal quale deriva che gli Stati che hanno ratificato la Convenzione devono riconoscere a tali diritti una "protezione effettiva (art. 13 Cedu) e cioè tale da porre rimedio - alle eventuali violazioni - senza necessità che si adisca la Corte di Strasburgo".
Per quanto concerne il procedimento giudiziale per l’ottenimento del risarcimento dei danni cagionati dalla lunghezza del processo , sia esso civile, penale o amministrativo
2, va introdotto
3 con ricorsoalla Corte d’Appello territorialmente competente, secondo una speciale tabella
4, e deve essere deciso entro 4 mesi dal deposito.
Il ricorso proposto alla competente Corte d’Appello deve essere necessariamente proposto nei confronti del
Ministero della Giustizia, se si tratta di procedimenti del giudice ordinario, del
Ministero della Difesa quanto si tratta di procedimenti del giudice militare, del
Ministero delle Finanze quando si tratta di procedimenti del giudice tributario .
Nel ricorso si dovranno esporre i fatti in maniera dettagliata. provando la lungaggine processuale attraverso la trascrizione pedissequa dei verbali di udienza, così da dimostrare i ritardi dovuti a rinvii d’ufficio, intercorsi tra le udienze.
Una volta terminata la procedura, la Corte d’Appello deposita presso la Cancelleria il decreto con il quale lo Stato Italiano viene condannato a corrispondere al ricorrente un indennizzo, oltre alle spese legali sostenute. Il decreto viene notificato, a cura del difensore, all’Avvocatura dello Stato distrettuale ed è immediatamente esecutivo.
Dopo aver descritto brevemente la procedura per il riconoscimento dell’equo indennizzo è opportuno determinare quale tipi di danni sono effettivamente configurabili nelle ipotesi di processi di irragionevole durata . Occorre pertanto precisare che dalla violazione del termine ragionevole del processo possono derivare: il danno patrimoniale e il danno non patrimoniale.
La tipologia del danno patrimoniale, che il ricorrente può legittimamente allegare è soggetta alle ordinarie regole probatorie di cui all’art. 2697 c.c., gravando sulla parte che agisce per ottenere l’equa riparazione l’onere di dimostrare rigorosamente il danno patrimoniale lamentato. Quindi il danno economico può essere ricollegato alla lunghezza del processo solo se sia l’effetto immediato di tale lunghezza e a condizione che si ricolleghi al ritardo del processo sulla base di una normale sequenza causale: in pratica il danno risarcibile è quello che costituisce conseguenza immediata e diretta del fatto causativo. Ovvero, per ottenere l’equa riparazione del danno patrimoniale subito, occorre dimostrare che sia il danno emergente che il lucro cessante ne siano la conseguenza immediata e diretta della durata eccessiva del procedimento (ex art. 1223 c.c. che è richiamato dall’art. 2, co. 3°, legge 89/01, attraverso il rinvio all’art. 2056 c.c.).
Per quanto riguarda il danno non patrimoniale è conseguenza normale della violazione del diritto alla ragionevole durata del processo e va ritenuto sussistente, senza bisogno di specifica prova diretta o presuntiva, in ragione dell’obiettivo riscontro di detta violazione.
I criteri di determinazione del quantum del danno non patrimoniale applicati dalla Corte europea non possono essere ignorati dal giudice nazionale, che deve riferirsi alle liquidazioni effettuate dalla Corte di Strasburgo che ha individuato nell’importo compreso fra Euro 1.000,00 ed Euro 1.500,00 per anno il parametro per la quantificazione dell’indennizzo, al quale possono essere apportate le deroghe giustificate dalle circostanze concrete della singola vicenda, purché motivate e non irragionevoli.
In particolare la Suprema
Corte, nelle pronunzie a Sezioni Unite n. 1338, 1340 e 1341 del 26.01.2004, ha chiarito che il giudice italiano deve interpretare la norma nazionale in modo conforme a quanto stabilito dalla giurisprudenza della Corte Europea, ed ha altresì affermato che “il danno non patrimoniale, anche secondo la CEDU, costituisce una conseguenza della detta violazione e cioè di regola, per effetto della violazione stessa. Ed invero è normale che la anomala lunghezza della pendenza di un processo produca nella parte che vi è coinvolta un patema d’animo, un’ansia, una sofferenza morale che non occorre provare, sia pure attraverso elementi presuntivi. (
Cass., Sez. Unite, 26.01.2004, n. 1340).
Infine, va soggiunto che il procedimento in materia di equa riparazione è esente dal pagamento del contributo unificato.
* Avv. Ignazio Sposito
[email protected]
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Note
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1 Secondo il rapporto “Doing Business 2009,
l’Italia è al 156° posto su 181 paesi presi in consideraizone, riguardo l'efficienza del sistema giudiziario nel consentire a una parte lesa di recuperare un pagamento scaduto .Da tale rapporto si nota che gli Usa stanno al 6° posto, la Germania al 9°, la Francia al 10°, il Giappone al 21°. La Spagna, che tra i Paesi europei sta messa male, è 54°. L’Italia addirittura 156 dopo paesi come la Guinea, l’Angola ecc…..