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Pubblicazioni scientifiche: quando il ricercatore sbaglia o falsifica i dati
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Articolo di Redazione
22 novembre 2011 15:26
 
Cresce la diffidenza verso la divulgazione scientifica, un sistema in cui l'ambizione degli studiosi si allea al sensazionalismo dei media. Un numero crescente di studi viene ritirato.

L'asserzione di Feuerbach "l'uomo è ciò che mangia", quest'autunno ha ricevuto un significato del tutto nuovo. Chen-Yu Zhang dell'Università di Nanchino ha scoperto che il materiale genetico di alimenti vegetali, come il riso, supera, non digerito, le barriere delle cellule, e lì continua a essere attivo -quanto meno nei topi. Nel fegato i geni delle piante (microRNA) hanno mostrato delle attività indesiderate, con interventi sul metabolismo che possono aumentare il rischio di diabete. Per l'uomo ci sarebbero conseguenze imprevedibili -Zhang ha rilevato il microDNA del riso nel sangue umano, non però nel fegato. La scoperta è stata una delle sensazioni scientifiche dell'anno, un sogno per i ricercatori e per la rivista Cell Research che l'ha pubblicata (20.9).
Ma ben presto il sogno ha rischiato di tramutarsi in incubo. Un lettore attento ha notato che nella pubblicazione lo stesso identico grafico compariva due volte in due esperimenti totalmente diversi. Quando succede una cosa simile, scatta subito il campanello d'allarme, soprattutto dal 2005, quando emerse il falso studio delle cellule staminali del ricercatore sudcoreano Hwang, con la manipolazione delle fotografie.
Il caso ha alimentato la diffidenza nel sistema divulgativo, dove le aspirazioni dei ricercatori e la legge del mercato scientifico "pubblica o muori" si nutrono a vicenda. Ma come trovare l'ago nel pagliaio? Ogni settimana si pubblicano attorno a 27.000 lavori di ricerca (raccolti in Rete da wokinfo.com). La gran parte rimane, 200 circa saranno prima o poi corretti e cinque o sei ritirati a causa di errori o falsificazioni.

Un terzo ha già ingannato una volta
Tutti commettono errori e in un sondaggio di Nature del 2005 tra i biomedici, un terzo ammise d'aver in qualche modo imbrogliato almeno una volta: soprattutto con il plagio (7,4%); altre volte cancellando da altre pubblicazioni quel che non collimava (5,3%) o omettendole per intero, e lo 0,5% inventandosi i dati (Nature, 435, pag.737). Vi si possono aggiungere le alte stime ufficiose, ma per fortuna anche i controlli stanno recuperando terreno. Nel 2000 vennero ritirati 30 lavori in tutto, quest'anno saranno oltre 400. Il merito è dei programmi informatici -ad esempio nel rintracciare i plagi- e dei cani da guardia come il britannico Committee on Publication Ethics (COPE), che tiene d'occhio le riviste. "A volte devono essere indotte al ritiro", riferisce la direttrice di COPE, Elizabeth Weger (Nature, 478, pag.26). Una ritrattazione costa in reputazione (e soldi), perciò spesso non si realizza, oppure, ancora più spesso, viene occultata senza spiegarne i motivi. In più, gli studi ritirati non toccano la bancadati in cui si trovano gli articoli; lì i cadaveri dello schedario continuano a vivere e in seguito ancora citati dalle ricerche più nuove.
Nel caso di Zhang e del suo DNA del riso la storia è andata diversamente: egli ha reagito subito pubblicando una correzione con il grafico esatto (8,11); l'errore è "dovuto a una svista", si è scusato Cell Research.

(articolo di Juergen Langenbach per Die Presse del 15.11.2011. Traduzione di Rosa a Marca)
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