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Recensioni cinema-fiction. Sugar
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Articolo di Marco Solferini
14 maggio 2024 10:53
 
John Sugar è un investigatore privato. Elegante, professionale, abituato alle comodità della vita. E' colui che viene ingaggiato da persone ricche e influenti per risolvere in modo organizzato questioni riservate.

Prima di tutto è un uomo che ama l'efficienza, l'autogestione del tempo e il metodo delle indagini basato sull'osservazione filologica degli eventi. Ha l'approccio determinato del problem solver e lo spirito del cavaliere errante fedele a ideali di buonismo e perbenismo dove la scelta giusta è quella che aiuta i deboli e salva coloro che sono in difficoltà.

Tuttavia è anche un uomo malato, costretto a convivere con una patologia che è potenzialmente in grado di alterare e di molto la sua capacità di mantenere la percezione e l'attenzione. 

Un piccolo mistero accompagna la sua vita di relazioni lavorative e la malattia in questione che viene sciorinata con indizi la cui ricercata evidenza da parte delle immagini è accattivante: lo spettatore più accorto li vedrà e si porrà anche qualche domanda.

Interpretato alla perfezione dall'Attore Colin Farrell, già pluripremiato da numerosi ruoli che avevano fatto ben comprendere la sua bravura. In questo caso è in stato di grazia. Questo personaggio è il suo. 

Sugar non è solo ciò che appare, è anche qualcosa di più. A margine della narrazione, la sua principale socia e in parte datrice di lavoro appartiene a una società tanto misteriosa quanto interessante e dai contorni che lo spettatore dovrà scoprire strada facendo.

Il nuovo incarico di Sugar è quello di ritrovare la nipote di un famoso produttore cinematografico. Una ragazza a tratti difficile. Con un passato problematico. La cui sparizione interessa a pochi se non al nonno paterno. L'unico che a differenza del resto della Famiglia pare voler conoscere la verità.

La storia ci propone, come ambientazione, una società smarrita. Siamo nel mondo della produzione cinematografica. Le regole e gli ambienti sono spietati, lascivi. Il mondo è intenzionalmente crudele. La moralità è un esercizio intellettuale.

Le parole non nascondono la disperazione di ognuno di questi personaggi che sono a loro modo sciupati, usurati dalla propria vita come se l'agiatezza del successo li avesse in qualche modo sconfitti e le situazioni degenerano nel parossismo.

Mi è piaciuta davvero molto l'ambientazione. 
Credo che gli sceneggiatori abbiano fatto un ottimo lavoro. Questo microcosmo è dipinto nei suoi paradigmi esteriori più forti ed estremizzato nella personalità dei protagonisti. Costoro si riducono ad un argillosa metafora della persona, laddove queste personalità che vivono un conflitto interiore diventano, fisicamente, lo scopo della presenza nella narrazione. Sempre più indicizzate al loro sentore che li spinge ad agire. E' la predestinazione. Non c'è un'indagine introspettiva: sono funzionali. Servono a sviluppare gli episodi. Le loro debolezze e i loro punti di forza non solo si toccano ma si riciclano.

Sono elementi di paratattica narrativa. Introdotti e organizzati in una serie di incontri, di face to face dove l'evoluzione della persona, la sua rivelazione passa attraverso lo sviluppo delle indagini.

La sceneggiatura ci propone elementi del noir e del pulp. Ben si potrebbero citare grandi Autori come Lansdale, Ellroy, Chandler, Gischler e altri.
Di fatto ci sono situazioni oniriche, quasi surreali, scandite al ritmo della voce narrante. Personificate dai primi piani del protagonista.

La voce narrante è episodica e situazionale ma assolutamente funzionale. E' immersiva. Le atmosfere, i colori e le riprese sono quasi una triangolazione di questi tre elementi che scivolano con buona costanza senza inciampare sulla ripetizione o sull'eccesso di caricatura (rischio usuale in questi generi delle serie tv).

La definizione di un ambiente simile a una gabbia senza sbarre dove le azioni dei coprotagonisti sono dettate da una latente forma di amoralità, tale per cui non necessitano di una comprensione ragionevole perché si compattino nella loro funzionalità rispetto alla trama.

La funzionalità come espressione del proprio ruolo è oltremodo evidente, così come lo strumento chirurgico dei luoghi comuni (su tutti quello della disfatta genitoriale di chi ha cresciuto la prole in quel mondo, abituandoli ad avere tutto come se fosse un diritto di nascita). 

Sarebbe fin troppo facile fare riferimento al celebre "L.A. Confidential" ma sarebbe anche fuorviante perché la storia è pronta a rivelarvi un colpo di scena che se nulla avete letto in proposito vi lascerà a bocca aperta. Preparatevi infatti perché al termine di una puntata c'è un c.d. finale sospeso (cliffhanger) che cambierà tutta la prospettiva e le aspettative che più o meno potreste esservi fatte.

Sugar è un ottima serie. Che ci riporta in un genere che mancava nella macro produzione contemporanea di serie tv e lo fa con stile, sostanza e ambizione. Il protagonista è un esploratore dei rapporti umani, vuole conoscerli ed è coinvolto nel cercare di fare bene e di compiere le scelte giuste. Lo spettatore rimarrà piacevolmente soddisfatto dall'esperienza e credo che sia un'ulteriore prova dell'altissimo livello qualitativo di Apple+ e del talento dei suoi showrunners.

 
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