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Quale problema vuoi risolvere con i mercati finanziari?
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Articolo di Alessandro Pedone
16 maggio 2023 12:30
 
Recentemente ho riletto quello che considero forse uno dei libri più utili che siano mai stati scritti, almeno negli ultimi 100 anni. Si tratta di “Change” scritto nel 1973 da tre autori del Mental Research Institute di Palo Alto: Paul Watzlawick, John H. Weakland e Richard Fisch. 
Non si tratta di un libro di finanza. Il tema è la formazione, persistenza, aggravamento e risoluzione dei problemi, qualsiasi genere di problema. 
È un libro semplicemente geniale che affronta il tema sia dal lato teorico ed astratto, facendo riferimento alla teoria dei gruppi ed a quella dei livelli logici, che da quello meramente pratico fornendo indicazioni molto specifiche per risolvere qualsiasi tipo di problema.  Il libro si può considerare un inno al pragmatismo: costituisce il fondamento teorico del problem solving strategico, una metodologia di risoluzione dei problemi che si fonda su logiche non ordinarie. 
Questo approccio è stato sviluppato in Italia dal centro di terapia strategica breve di Arezzo, fondato proprio da Paul Watzlawick insieme a Giorgio Nardone, allora suo principale allievo. 
Costituisce una base teorica per vari campi d’intervento sia nella terapia psicologica che nel coaching, il counseling, la negoziazione e la consulenza aziendale. Come in tutti i campi dell’agire umano, anche in finanza trova delle applicazioni incredibilmente utili.

Finti problemi che generano problemi concreti
Uno dei concetti chiave del libro è che molto, troppo, spesso tentando di risolvere i problemi in modo sbagliato, si finisce per renderli sempre più difficili da risolvere. 
I problemi, in genere, si creano e si aggravano, perché si applicano delle strategie che in passato hanno funzionato in situazioni apparentemente simili, ma che non funzionano più in quello specifico contesto. 
La tentata soluzione, quindi, diventa parte integrante del problema perché lo alimenta.

Una serie di problemi ancora più difficili da risolvere nascono, paradossalmente, dal tentativo di risolvere problemi che non sono tali. La cosa è ancora più grave e difficile proprio perché le tentate soluzioni, applicate a problemi inesistenti, generano una miriade di nuovi problemi reali. L’unico modo per risolvere i problemi reali è smettere di tentare di risolvere il finto problema iniziale, ma è quasi impossibile per un essere umano smettere di tentare di risolvere un problema, fino a quando si percepisce come tale. 

Questa situazione è estremamente comune in finanza. 
Prima di comprendere questo concetto fondamentale è necessario definire meglio il termine “problema”. 
Non ci riferiamo, qui, ai problemi matematici o scientifici. Parliamo dell’uso comune del termine che, secondo la Treccani, si riferisce a “qualsiasi situazione, caso, fatto che, nell’ambito della vita pubblica o privata, presenti difficoltà, ostacoli, dubbî, inconvenienti più o meno gravi da affrontare e da risolvere”. 
Watzlawick, in “Change”, introduce una distinzione estremamente utile tra problema e difficoltà. 
Non tutto ciò che presenta difficoltà, secondo Watzlawick, è anche un problema. Secondo la sua definizione, un problema è ciò che possiede una soluzione. Se non c’è soluzione, non c’è il problema. 
La morte, ad esempio, non è un problema - nella definizione di Watzlawick - perché non esiste una soluzione, mentre la malattia può essere un problema tutte le volte che esistono delle cure. 

Troppo spesso, anche in finanza, si generano problemi perché si confonde una situazione sgradevole, difficile da accettare, in un problema che si tenta di risolvere, ma che semplicemente non ha soluzione. 
Nel tentativo di risolvere ciò che non è risolvibile, però, si creano problemi veri, ovvero difficoltà che sarebbero evitabili, ma che l’ostinazione nel voler cambiare ciò che non è in nostro potere cambiare, perpetua ed aggrava. 

L’incertezza dei mercati finanziari, ad esempio, non è un problema: è la condizione naturale dei mercati finanziari. 
Eppure la trasformiamo in problema tutte le volte che non la accettiamo come dato di fatto, come condizione di base, ma tentiamo di avere certezze che i mercati finanziari semplicemente non possono darci. In questo modo gli investitori cadono nelle trappole dei vari prodotti “a capitale garantito” (1).

Ancora più spesso, cadono nella trappola - più pericolosa - dell’agire sulla base di qualche presunta conoscenza che trasformi l’incertezza in previsioni o modalità per calcolare il rischio. 
La quasi totalità degli investitori, anche professionali, commette l’errore di cercare di gestire l’incertezza attraverso qualche forma di diavoleria finanziaria che tenta di fare l’impossibile: ridurre l’incertezza, per definizione non calcolabile, in qualche forma di rischio calcolabile e quindi apparentemente gestibile. 
E’ quello che quotidianamente facciamo in finanza quando riduciamo il problema del “rischio” dei portafogli finanziari a parametri statistici derivati dal concetto di deviazione standard. 
Ad esempio il famigerato Value at Risk  (VaR) non è un altro un potenziale generatore di problemi inutili, ma reali e potenzialmente molto dannosi, causato dal tentativo di risolvere un falso problema: l’incertezza dei mercati. 
Dopo decenni che la distinzione fra incertezza e rischio è stata accademicamente sviscerata in ogni suo aspetto, ancora gli operatori finanziari non riescono ad accettarla e generano un’enorme quantità di problemi inutili (2). 
Un altro esempio di problema inesistente che genera problemi concreti è la volontà di recuperare le perdite. Il denaro perso non è mai recuperabile: è perso. E’ una cosa difficile da accettare, ma è una realtà. I mercati finanziari restano gli stessi sia che l’investitore abbia perso denaro, sia che non l’abbia perso. Il denaro guadagnato o perso dopo aver subito una perdita è esattamente lo stesso rispetto a quello guadagnato o perso senza aver subito quella perdita. Non vi è nessun nesso fra il guadagno futuro e la perdita precedente, ma infilarsi nella falsa ottica di considerare un possibile futuro come un “recupero” di una passata perdita determina comportamenti potenzialmente dannosi che l’investitore non avrebbe messo in atto se non avesse questo falso problema da risolvere. 

Quali problemi possiamo realmente risolvere con la finanza?
La finanza serve a risolvere dei problemi concreti che non sono risolvibili senza l'utilizzo nei mercati finanziari. In primo luogo serve ad aumentare drasticamente le probabilità che il denaro non speso mantenga - e possibilmente accresca - negli anni il suo potere di acquisto. Nel tentativo di risolvere i falsi problemi di cui abbiamo scritto al paragrafo precedente, la quasi totalità degli investitori italiani distrugge la possibilità che la finanza risolva veri problemi per lui. 
La finanza può rendere possibile effettuare delle spese negli anni futuri che non ci saremmo potuti permettere se non avessimo fatto determinate scelte finanziarie negli anni precedenti.
Può consentire di avere un tenore di vita migliore negli anni nei quali non siamo più in grado di produrre reddito. Può consentire di dare ai propri figli un'istruzione migliore. 
Può aiutare ad acquistare la casa dei nostri sogni fra una decina d’anni,  immobile che non riusciremmo ad acquistare mantenendo i risparmi solo sul conto corrente. 
Può consentirci di smettere di lavorare qualche anno prima rispetto a quello della pensione e raggiungere una indipendenza finanziaria che ci consente di vivere con i frutti dei nostri risparmi. 

Questi - e molti altri - sono problemi che si possono affrontare realizzando piani finanziari composti da strategie d’investimento che comprendono l’incertezza e non tentano di trasformarla né in rischio calcolabile né in tentativi di prevedere come andranno in futuro i mercati. 

L’elemento che gioca un ruolo centrale in tutti i piani d'investimento è il tempo. Non parliamo di pochi mesi o trimestri, parliamo di svariati anni. 
Se la persona non riesce a mettersi in un’ottica pluriennale non sta investendo ma cercando un modo di parcheggiare la liquidità. Non c’è niente di male in questo. Si può usare la finanza anche per parcheggiare la liquidità per pochi trimestri o anni, ma bisogna essere consapevoli che l’unico problema che stiamo cercando di risolvere è parcheggiare la liquidità. 
Se quello che chiediamo ai mercati finanziari è di aumentare le nostre capacità di spesa negli anni futuri in nessun modo possiamo esimerci dal ragionare in termini di svariati anni: lustri, decenni. 
Se siamo in grado di fare questo salto mentale, la finanza può risolverci diversi problemi reali. 
Se non siamo in grado, allora la finanza sarà molto più capace di crearci problemi di quanti ce ne risolverà. 


NOTE
1 - Recentemente una nuova cliente, molto intelligente e simpatica, convinta di sostituire tutti i fondi a gestione attiva con ETF molto meno costosi, voleva fare un’eccezione per un fondo che investiva nelle azioni europee con un meccanismo che “garantiva” il 100% del rialzo del prezzo e contemporaneamente garantiva il capitale inizialmente investito nell’orizzonte temporale di 6 anni. Questa cosa di partecipare ai rialzi, ma non ai ribassi gli sembrava particolarmente interessante. Siamo andati ad analizzare il prodotto più in profondità ed abbiamo constatato che le “azioni europee” nelle quali investiva erano una selezione di 30 azioni, le quali avevano un dividendo medio superiore al 5% all’anno. Il prodotto finanziario garantiva solo la partecipazione al rialzo del prezzo, non degli utili. Sappiamo che tutte le volte che l’azione stacca gli utili il prezzo scende di pari valore.  Quindi il “costo” di questa protezione, nell’arco dei 6 anni, era di circa il 30% del rendimento potenziale che l’investitore in quello strumento lasciava sul piatto nel tentativo di trasformare un parte di incertezza in certezza. 
2 - Questo accade anche perché spesso, sebbene questi tentativi siano dannosi per gli investitori, sono molto redditizi per coloro che ci costruiscono sopra prodotti e servizi finanziari.
 
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