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 ITALIA - ITALIA - Quando la precauzione diventa assioma
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Articolo di Cinzia Colosimo
22 gennaio 2003 22:20
 
Quando il filosofo Hans Jonas emigro' negli Usa, il suo pensiero si rivolse verso le problematiche inerenti l'ambiente naturale, l'ecologia, la conservazione del mondo fisico. Una delle conclusioni che trasse fu che la dimensione etica in senso lato, nell'antichita' riguardava solo il mondo sociale, in quanto l'uomo, con le sue limitate conoscenze, non era in grado di mutare l'ordine e le regole della natura. Quando la situazione si e' capovolta, cioe' quando l'uomo ha cominciato ad avere effetti attivi sul mondo fisico attraverso l'uso delle tecnologie, allora l'etica e' diventata parte integrante della responsabilita' umana nei confronti del mondo circostante.
Jonas e' rimasto celebre nella storia della filosofia per aver inserito questo concetto in una societa', quella moderna, che doveva affrontare gli effetti delle tecnologie come delle gigantesche incognite. Da qui la nascita del cosiddetto principio di responsabilita', un principio di origine morale atto a garantire la preservazione della natura e l'etica della collettivita'.
Oggi si chiama principio di precauzione, e il suo significato piu' banale e' facilmente riconducibile ad una massima: "La limitazione piuttosto che la crescita." L'aspetto inquietante di questo principio, che alla prima occhiata parrebbe solo un eccesso di cautela, e' che oggi ha valenza legale e spesso viene invocato dai comitati etici, dai Parlamenti, dalle commissioni scientifiche. In un atto normativo dell'Unione Europea viene definito in questo modo: "il principio di precauzione puo' essere invocato quando gli effetti potenzialmente pericolosi di un fenomeno, di un prodotto o di un processo sono stati identificati tramite una valutazione scientifica e obiettiva, ma quando questa valutazione non consente di determinare il rischio con sufficiente certezza. Il ricorso al principio si iscrive pertanto nel quadro generale dell'analisi del rischio [.] ed e' pertanto giustificato solo quando riunisce tre condizioni, ossia: 1) l'identificazione degli effetti potenzialmente negativi, 2) la valutazione dei dati scientifici disponibili, e 3) l'ampiezza dell'incertezza scientifica. La Commissione sottolinea che il principio di precauzione puo' essere invocato solo nell'ipotesi di un rischio potenziale, e che non puo' in nessun caso giustificare una presa di decisione arbitraria."
Al di la' della vaghezza con la quale viene definito, nell'accezione e nell'uso corrente del termine, il principio di precauzione e' diventato un perfetto alibi per coloro che mirano al controllo della ricerca. Non solo limita ampiamente la liberta' dei ricercatori, ma affida il potere decisionale delle scoperte e delle applicazioni scientifiche quasi in toto alle autorita' etiche o agli Stati stessi. E' un principio che tende a far leva sull'emotivita' delle persone, sulle loro paure, sui loro dubbi, sulle loro incertezze, senza tener conto della piena legittimita' di cui questi sentimenti godono. I dubbi e le paure non obbligatoriamente devono frenare, al contrario, possono diventare il motore trainante di un'ulteriore ricerca, di un ulteriore bisogno di conoscenza, che innegabilmente sono fattori positivi.
Gli ogm, la terapia genica, le cellule staminali, la clonazione, le nuove scoperte sul genoma umano sono, o sono stati, tutti sottoposti alla visione fobica del principio di precauzione. In nome dell'inviolabilita' dell'embrione umano si negano i potenziali progressi nel campo delle staminali; in nome dell'agricoltura tradizionale si nega la possibilita' di cibarsi ai 6 milioni di bambini che ogni anno perdono la vita per malnutrizione. Il Prof. Vincenzo Lungagnani, Docente di Normative Biotecnologiche e Bioetica alla Bocconi commenta: "L'uso terroristico del principio di precauzione riferito alle biotecnologie non e' un richiamo alla responsabilita', ma un invito alla pigrizia mentale ed all'inerzia". Pigrizia che oltre ad essere infruttuosa, ha semplicemente contribuito a creare un clima di confusione, disinformazione, allarmismo, generalizzazione e incertezze. In sostanza il modo di pensare e' a grandi linee questo: noi uomini non conosciamo a lungo termine gli effetti di tal o tal altra scoperta. Di conseguenza, per precauzione, blocchiamo qualsiasi ulteriore tentativo di fare chiarezza e di fatto neghiamo all'individuo comune il diritto ad essere informato di modo che non possa giungere da solo ad una valutazione responsabile della faccenda. Il trionfo del liberticidio. Cosi' la clonazione terapeutica diventa la facciata buona di quella riproduttiva, l'ogm il pasto rifilato al terzo mondo perche' il primo e il secondo non lo vogliono, e magari le potenzialita' della terapia genica divengono il moderno incubo dell'eugenetica.
Per risolvere l'inghippo dell'incomprensione basterebbe semplicemente partire dando retta al vecchio Dante." Fatti non foste a viver come bruti , ma per seguir virtute e conoscenza".
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