Come noto, le prestazioni socio-sanitarie sono tutti quegli interventi di cura ed assistenza che racchiudono insieme entrambe le componenti, quella sanitaria e quella sociale in un unicum inscindibile. E come noto a chi segue la materia, da alcun anni la definizione e l’applicazione della normativa (art. 3 septies D.lgs 502/92 e nella successiva sua specificazione - finalizzata a definire i comparti di spesa - contenuta di cui al DPCM 14 febbraio 2001) - anima un contenzioso per la determinazione in concreto degli oneri economici tra Asl, Comuni e cittadini.
Nella macro categoria delle prestazioni socio sanitarie, il legislatore agisce in tre sotto categorie, tra cui quella delle prestazioni sociosanitarie ad alta integrazione sanitaria:
“Sono da considerare prestazioni socio-sanitarie ad elevata integrazione sanitaria di cui all’art. 3-septies, comma 4, del decreto legislativo n. 502 del 1992, e successive modifiche e integrazioni, tutte le prestazioni caratterizzate da particolare rilevanza terapeutica e intensità della componente sanitaria, le quali attengono prevalentemente alle aree materno-infantile, anziani, handicap, patologie psichiatriche e dipendenze da droga, alcool e farmaci, patologie per infezioni da H.I.V. e patologie terminali, inabilità o disabilità conseguenti a patologie cronico- degenerative. Tali prestazioni sono quelle in particolare, attribuite alla fase post-acuta caratterizzate dall’inscindibilità del concorso di più apporti professionali sanitari e sociali nell’ambito del processo personalizzato di assistenza, dalla indivisibilità dell’impatto congiunto degli interventi sanitari e sociali sui risultati dell’assisttenza e dalla preminenza dei fattori produttivi sanitari impegnati nell’assistenza. Dette prestazioni a elevata integrazione sanitaria sono erogate dalle aziende sanitarie e sono a carico del fondo sanitario. Esse possono essere erogate in regime ambulatoriale domiciliare o nell’ambito di strutture residenziali e semiresidenziali e sono in particolare riferite alla copertura degli aspetti del bisogno socio-sanitario inerenti le funzioni psicofisiche e la limitazione delle attività del soggetto, nelle fasi estensive e di lungoassistenza”.
La formulazione, apparentemente esaustiva e chiara, ha subito nel tempo numerosi interventi chiarificatori giurisprudenziali che ne determinassero in concreto gli ambiti di applicazione. E ciò, ovviamente, per le importanti implicazioni economiche che ne conseguono: il riconoscimento della natura sociosanitaria ad alta integrazione sanitaria comporta l’esborso integrale delle rette di ricovero a carico del sistema sanitario nazionale e regionale (e per il tramite dei comparti di spesa alle singole Aziende sanitarie competenti), anziché pro quota (sanitaria/sociale) con l’intervento dell’utenza e dei Comuni su base ISEE.
Ecco gli approdi cui è pervenuta la giurisprudenza, di merito e di legittimità, relativi alle prestazioni sociosanitarie su indicate. In primis, ne puntualizza la nozione, a parziale modifica di quanto in precedenza affermato, ed il carattere distintivo che consiste nell’inscindibilità della componente sanitaria da quella sociale, e la funzionalità e strumentalità della componente “sociale” rispetto al progetto di cura “sanitario”, non altrimenti realizzabile e sostituibile attraverso le cure familiari rese a domicilio. Diversamente in precedenza, la Suprema Corte aveva affermato il criterio della “prevalenza” dell’una componente sull’altra, con le difficoltà applicative del caso (cfr. Corte di Cassazione sent. n. 2038 del 28 gennaio 2023).
Nelle svariate e recenti pronunce di legittimità sono stati chiariti ulteriori aspetti che possano concorrere all’inquadramento in esame, che vede comunque al centro il soggetto e la sua patologia:
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non rileva quale sia o sia stato il progetto terapeutico formalmente formulato dalle amministrazioni, ma quale è od era da ritenersi necessario in base alla patologia della persona;
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non rileva l’inquadramento in un modulo di ricovero, piuttosto che in un altro, ma si ha riguardo alla patologia della persona;
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non rileva neppure la tipologia di struttura che ha preso in cura il paziente, sia essa privata o pubblica, sia essa specifica o meno per determinate patologie, né che sia da annoverarsi in una categoria RSA, RSD o altre denominazioni, conta il trattamento reso e da rendersi per il caso in questione;
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non rileva se la patologia della persona ricoverata sia curabile o cronica;
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non rileva se il progetto individualizzato sia finalizzato a curare nel senso di migliorare le condizioni cliniche del paziente, piuttosto che solo a ritardare e/o contenere gli effetti degenerativi di patologie irreversibili;
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per “componente sanitaria” della prestazione va inteso quanto riportato nella normativa generale regolanti il Sistema Sanitario Nazionale, secondo le previsioni della L. N. 833 del 1978, art. 25 e del DPCM 8 agosto 1985, che definiscono “prestazioni curative” quelle consistenti nell’assistenza medico generica, specialistica, infermieristica, ospedaliera e farmaceutica. Con ciò intendendo anche i trattamenti farmacologici somministrati con continuità a soggetti con grave patologia cronica ospitati presso le strutture di ricovero (sent. Corte di Cassazione 22776/2016 che enuncia i principi consolidati in materia socio-sanitaria, quali vero e proprio diritto vivente);
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da ultimo, ma non per importanza,
non rileva la durata delle prestazioni socio-sanitarie ad alta integrazione sanitaria e non può esser astrattamente limitata da disposizioni regolamentari che non siano calate nella realtà del paziente (CDS con sent. 1858 del 21 Marzo 2019).
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