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Sfollati ucraini e di altre nazioni. Le ambigue politiche Ue
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Articolo di Redazione
29 marzo 2022 10:35
 
Che differenza c'è tra un un rifugiato ucraino che fugge dalla guerra di Vladimir Putin contro l'Ucraina e un rifugiato siriano che fugge dalla guerra di Bashar al Assad e Vladimir Putin in Siria? I primi sono accolti con misure di solidarietà straordinarie, mentre i secondi fanno tremare le fondamenta dell'Unione europea. Si potrebbe riassumere così la riunione del Consiglio Affari interni di ieri, durante la quale i ministri dei ventisette hanno discusso di un piano d'emergenza in dieci punti presentato dalla Commissione per far fronte all'afflusso di 3,8 milioni di persone dall'Ucraina. Tra sottigliezze giuridiche che permettono ai rifugiati ucraini di andare nel paese che vogliono e aiuti finanziari straordinari ai paesi di primo ingresso, il divario tra la crisi del 2021 e quella del 2015-16 è enorme. Il vicepresidente della Commissione, Margaritis Schinas, ha perfino coniato un nuovo termine per definire la nuova politica dell'Ue: “auto-relocation”. Tradotto? I rifugiati dall'Ucraina, a differenza di quelli dalla Siria, dall'Afghanistan, dall'Eritrea o dall'Iraq, potranno andare dove vogliono e scegliersi il paese di destinazione. I rifugiati con la pelle di colore diverso dal bianco e religione diversa da quella cristiana, invece, continueranno a essere accusati di movimenti secondari illegali, da rinchiudere o rispedire nei paesi di primo ingresso.

Sul Foglio spieghiamo tutti i problemi della risposta di emergenza dell'Ue ai rifugiati ucraini: Polonia e Ungheria chiedono solo soldi e la Commissione può scordarsi il suo nuovo Patto su migrazione e asilo. L'Ue ha fornito un'accoglienza senza precedenti ai rifugiati ucraini e va applaudita. I ventisette hanno attivato in tempi rapidissimi la direttiva sulla protezione temporanea, che consente agli ucraini di beneficiare automaticamente per tre anni non solo dell'asilo, ma anche sussidi, scuola, sanità e permesso di lavoro. Secondo i dati dell'Unhcr, su 3,8 milioni di persone scappate dalla guerra dal 24 febbraio, 2,3 milioni sono entrate in Polonia, 600 mila in Romania, 354 mila in Ungheria e 275 mila in Slovacchia. Ma, dietro a decisioni e numeri, si nascondono le deficienze legate alla mancanza di una politica comune dell'Ue e i piccoli giochetti nazionali per evitare che la Commissione metta il naso nelle politiche migratorie mentre finanzia massicciamente i paesi di primo ingresso. Risultato: la risposta emergenziale rischia di smantellare quel poco di politica comune su migrazione asilo che l'Ue è riuscita a costruire.

La Commissione ieri ha proposto un piano in dieci punti per gestire la situazione;
Creazione di una piattaforma per la registrazione dei beneficiari della protezione internazionale; approccio coordinato sul trasporto dei rifugiati; mappatura delle capacità di accoglienza; indice dell'Ue sulla pressione in ciascuno stato membro; linee guida per l'accoglienza e il sostegno ai bambini; misure comune contro il traffico di esseri umani; trasferimento di rifugiati dalla Moldavia; ricollocamenti verso Canada, Stati Unti e Regno Unito; utilizzo di Europol e di altri strumenti contro il traffico di esseri umani; ottimizzazione dell'uso di fondi dell'Ue. Ma dietro gli slogan contenuti nei dieci punti c'è una realtà molto semplice: i paesi di primo ingresso non vogliono ricollocamenti obbligatori o volontari per non vederseli imporre in futuro. La soluzione può funzionare se la guerra durerà poco. Ma più rifugiati arriveranno e più a lungo resteranno nell'Ue, più aumenterà la pressione sui paesi di accoglienza. E, se ci sarà troppa pressione, alcuni stati membri potrebbero iniziare a rifiutare quelle che Schinas ha definito “auto-relocation”.

Per dimostrarlo bastano alcuni dati. Su 3,8 milioni di ucraini entrati nell'Ue, solo 800 mila hanno chiesto la protezione temporanea. Gli altri 3 milioni tra meno di novanta giorni si troveranno in situazione irregolare. Su 2,3 milioni di ucraini entrati in Polonia e 350 mila in Ungheria, circa un terzo hanno già deciso di proseguire il viaggio verso altri stati membri dell'Ue. Varsavia e Budapest l'unica cosa che chiedono sono soldi. Non solo i 17 miliardi di euro messi sul piatto dalla Commissione, ma anche le decine di miliardi (35 per la Polonia, 7 per l'Ungheria) dei piani di Recovery bloccati dal braccio di ferro sullo stato di diritto. Frontex, che in passato ha partecipato a respingimenti, oggi è praticamente assente. La controprova? Il trattamento riservato ai non ucraini che fuggono dalla guerra di Putin: nella maggior parte dei casi non hanno accesso alla protezione temporanea, devono essere rimpatriati e vengono rinchiusi in centri alla frontiera. Se sono fortunati, passeranno per le normali procedure di asilo, ma senza aiuti e diritti.

Gabriele Bischoff, deputata europea tedesca della Spd, ha tirato le somme. “Le notizie di due pesi e due misure nel trattamento dei rifugiati dall'Ucraina sono spaventose”. Il gruppo dei Socialisti & Democratici “condanna qualsiasi trattamento selettivo da parte degli stati membri per aiutare solo i cittadini ucraini”. Secondo Bischoff, “la piattaforma di solidarietà istituita dalla Commissione la scorsa settimana per sostenere gli sforzi per ricollocare i rifugiati all'interno dell'Ue è un passo positivo”, ma “oggi è più chiaro che mai” che occorre “sostituire le soluzioni rapide con soluzioni permanenti per la condivisione delle responsabilità nell'Ue”. I socialisti chiedono che nel Patto su migrazione e asilo ci sia “un meccanismo di ricollocazione permanente in modo che gli stati membri possano sempre fare affidamento su un sostegno continuo e su una capacità di accoglienza condivisa nei momenti di bisogno", ha spiegato Bischoff. Ma la soluzione emergenziale sui rifugiati ucraini allontana questa prospettiva.

(David Carretta su Europa Ore 7 del 29/03/2022)
 
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