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SOLSTIZIO D'INVERNO - BISOGNO DI LUCE
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Articolo di Annapaola Laldi
15 dicembre 2005 0:00
 
Scrivo queste note il 13 dicembre, cioe' per "Santa Lucia -il giorno piu' corto che ci sia", come recita un detto popolare che, se per l'oggi dice una cosa scientificamente errata, ci fornisce tuttavia la testimonianza di un tempo, in cui effettivamente questo giorno coincideva col solstizio d'inverno (21 dicembre).
E', questo, il periodo dell'anno, in cui, alla nostra latitudine, facciamo l'esperienza del sole che sembra voler scomparire. Un'esperienza che, se ancora oggi ci da' una certa inquietudine, doveva essere addirittura terrorizzante agli albori dell'umanita', quando per i nostri pro-progenitori c'era solo l'evidenza dell'incombere di una notte senza fine. Non stupisce quindi che in questo periodo dell'anno, fino da tempi remotissimi, la mente e il cuore umano abbiano cercato di esorcizzare la paura del buio fisico e simbolico celebrando una "festa della luce", che e' anche un annuncio dell'indistruttibilita' della vita, perche' sostanzialmente il sole -la luce- non muore, o, se muore, immediatamente risorge.
Le diverse religioni, che si sono succedute nella nostra area culturale, hanno tutte riconosciuto e celebrato questa realta'; basti ricordare che nel calendario di Giulio Cesare, il 25 dicembre era la festa del "Sole invitto", dove con "sole" non s'intendeva l'astro del cielo, ma l'essenza e la manifestazione del dio Creatore e Vivificatore (clicca qui). (Un accenno merita qui anche la festa della luce ebraica, "Chanukka'", che dura otto giorni e che si celebra piu' o meno in questo periodo dell'anno - clicca qui). E cosI' ha fatto anche il Cristianesimo sostituendo al Sole, o a Saturno o a Mitra, la figura di Gesu' di Nazaret, considerato, con le parole del vangelo di Giovanni (1,9), "la luce vera, quella che illumina ogni uomo"
.
Colgo l'occasione, quest'anno, per far dono a chi leggera' queste righe di una omelia (o predica che dir si voglia) sulla nascita di Gesu' di Nazaret tenuta nel Natale del 1982 da EUGEN DREWERMANN (leggi: oighen drevermann), un prete e teologo cattolico tedesco che propone una lettura delle Sacre Scritture in chiave di psicologia del profondo. Essa si trova in: EUGEN DREWERMANN, Il cielo aperto -Prediche per l'Avvento e il Natale (trad. di Claudia Murara), Queriniana, Brescia 1997(pp. 181-186), e si riproduce con il gentile permesso della casa editrice, che viene qui pubblicamente e sentitamente ringraziata.


Omelia tenuta da Eugen Drewermann nella messa di Natale del 1982


Con questo giorno di Natale comincia il miracolo della divinizzazione dell'essere umano. Da questo giorno in poi vediamo l'uomo con altri occhi, e bisogna chiedersi come si possa vedere con gli occhi di un angelo, o almeno come si possa prestare fede al messaggio di un angelo, per riuscire a scorgere in una stalla la nascita divina del nostro redentore. In mezzo alla miseria, la' dove non ce lo si aspetterebbe, lontano dallo splendore dorato dei palazzi, fuori dalle sale del trono dei potenti, nel piu' piccolo dei capoluoghi della Giudea, cosI' come aveva promesso il profeta, viene al mondo il nostro redentore.
La leggenda cristiana contiene tutti gli elementi essenziali, e dice il vero. Nel mezzo della notte, essa afferma, nell'oscurita' illuminata solo dalle stelle il Signore viene al mondo. Cosi' dev'essere. Perche' altrimenti egli non potrebbe mai comprendere cio' che piu' tardi lascera' trasparire da tutto il suo messaggio, ossia quanto la notte, le tenebre e la mancanza di prospettive possano perseguitarci. Piu' tardi egli chiedera' perdono al Padre suo per tutto cio' che noi facciamo come nell'ottenebramento del nostro spirito, inconsapevolmente e sempre come disperati, spesso desiderando il meglio eppure incapaci di vedere chiaramente. "Perdonali, perche' non sanno quello che fanno", dira' egli nell'ora in cui il mondo tornera' a oscurarsi. Egli avra' compassione per tutti i momenti in cui non abbiamo alcuna prospettiva e non vediamo via d'uscita, per tutte le volte che non conosciamo piu' noi stessi e non ci orientiamo piu' nel nostro stesso cuore. Proprio quando non sentiamo e non comprendiamo piu' nulla di umano, egli dice che nel mezzo della notte, nell'incomprensibile, Dio prende forma umana e che nella sua miseria non vi e' nulla da rinnegare, nulla da disprezzare e nulla da respingere.
Faceva freddo, dice la leggenda del Natale, e ha ragione, perche' altrimenti il nostro redentore non avrebbe verso il gelo del nostro cuore la comprensione di cui abbiamo bisogno per contrapporre pur sempre alla solitudine, al vento pungente, alla privazione della bonta' che riscalda, al raggelarsi di ogni parola di dolcezza la fiducia, la delicatezza e la bonta'. La mite legge di cio' che non appare sara' piu' forte degli ordini sferzanti, delle stridenti violenze, del congelamento del cuore provocato dall'angoscia. Gli animali, dice la leggenda richiamando alcune parole dei profeti, riscaldando col fiato la mangiatoia in cui giace il nostro redentore avrebbero dato un primo segno di compassione e misericordia creaturale, come per dirci che ogni cosa, per il suo solo essere viva, e' destinata a essere buona, non a distruggere, bensI' a essere buona gia' con il tepore del proprio corpo. Il linguaggio animale, questa ragione per cosI' dire non alterata, animalesca, istintiva, e' molto piu' giusto di un pensiero tanto sofisticato e contorto. E anche quest'immagine ci e' necessaria per la nostra vita, poiche' spesso vediamo noi stessi come asini che vengono caricati, maltrattati e, a causa della loro stupidita', spinti attraverso la vita in schiavitu' e fatica infinita. Non spetta in primo luogo a questi pazienti asini dell'esistenza un posto nel presepe? E nella nostra vita non vi sono forse abbastanza cose per cui vorremmo rimproverarci nella nostra lentezza bovina, gli errori che commettiamo non per cattiva volonta', ma per avventatezza, per scarsa perspicacia, per incapacita', errori dai quali sappiamo trarre insegnamento solo quando e' ormai troppo tardi? Chissa' che non spetti in primo luogo alla nostra buaggine e asinaggine un posto accanto alla mangiatoia, per dirci che siamo e possiamo essere uomini, incluso tutto cio' che la superbia umana vorrebbe spesso respingere e calpestare in quanto animale?
La leggenda dice che per Dio non vi era altro modo di entrare nella nostra vita che nelle sembianze di un bambino, per darci il coraggio di cogliere proprio in cio' che e' incompiuto, non e' ancora interamente formato e non e' ancora adulto, la piu' bella metafora di Dio. In ogni cuore umano attende di essere accolto un bambino al quale non e' mai stesso permesso di vivere. Su di lui poggia ogni promessa, infinitamente piu' che sulla figura adulta imposta dall'angoscia. A un bambino bisogna voler bene per il semplice fatto che esiste. Non sa fare nulla, non possiede nulla, non ha nulla. Al suo pianto, ai suoi strilli e al suo sorriso rispondiamo per un riflesso di cui la natura ha provveduto ognuno di noi. Il linguaggio della creaturalita', se riusciamo a comprenderlo, ci conduce con sicurezza verso la bonta'. A partire da questa notte di Natale nessuna miseria umana dovrebbe piu' essere esclusa dal mondo degli uomini. Al contrario, sopra il capo di ogni essere umano dovremmo vedere alzarsi una stella, splendente nella notte, e dovremmo soltanto avere occhi capaci di scorgere tra la sofferenza e la miseria umana la figura divina, che prende corpo, cresce e si compie nella maturazione. Dobbiamo avere occhi di angeli. A questo punto gli scettici chiederanno se il sogno dei pastori in questa notte non sia sospetto. Forse per loro il messaggio della notte di Natale e' troppo consolatorio. Come dimostrare che un angelo parla, se scompare nel cielo? Come dimostrare che e' possibile udire gli angeli e vedere con occhi d'angelo? Gli scettici troveranno nella realta' esteriore infinite prove, difficilmente confutabili, di quanto sia meschina, brutta, misera e vana la vita dell'uomo. Hanno ragione, se non fosse che riescono a vedere correttamente soltanto alla luce del giorno, come fanno gli adulti, convinti della loro ragione e tronfi nel loro linguaggio razionale fatto di scetticismo e critica pungente. Gli occhi avvolti nel buio vedono in modo piu' reale, il cuore sognante vede in modo piu' vero, poiche' soltanto con il cuore pieno di struggimento si potra' sentir parlare un angelo.
E se proprio la solitudine astrale, la separazione da Dio distante da noi anni luce, ci avvicinasse piu' che mai a questo mattino di Natale? E se fosse vero che proprio nella miseria piu' profonda, nella notte piu' buia e nell'ora piu' fredda, il calore e la luce del nostro Dio ci appaiono piu' chiaramente che mai? Come possiamo confidare in un angelo, e dirigerci verso Betlemme? Nel vangelo si dice che la schiera dei messaggeri di Dio si ritiro' nelle sfere celesti, ma che dei semplici pastori divennero messaggeri al loro posto, e i loro occhi seppero scorgere il divino in una mangiatoia. Questo e' il messaggio che essi ci rivolgono attraverso i millenni: in ogni uomo Dio attende di riaprire gli occhi, e lo fara' quando a guardarlo saranno occhi capaci di percepire in lui il divino. E nulla nell'essere umano merita di restare non vissuto ed escluso, cosicche' tra gli uomini non vi sara' piu' differenza, non sussistera' piu' divisione tra Dio e l'uomo, la bonta' sara' sconfinata verso tutte le creature, e la sfera di cio' che e' degno di amore non si limitera' all'essere umano, ma abbraccera' ogni cosa, l'animale piu' umile e anche gli aspetti piu' umili e animali nell'uomo stesso; in tutto l'esistente a partire da questo giorno vive qualcosa di divino, e ci parla come parola di Dio rivolta a noi, parola che non passa mai.



NOTA

EUGEN DREWERMANN e' nato il 25 giugno 1940 a Bergkamen, vicino a Dortmund (Renania settentrionale), figlio di padre luterano e di madre cattolica. E' stato ordinato prete cattolico nel 1966; accanto allo studio della teologia e della filosofia, ha approfondito anche quello della psicologia, sviluppando nel tempo la proposta di interpretare le Sacre Scritture della tradizione ebraica e cristiana in chiave di psicologia del profondo (vedere i due volumi di Psicologia del profondo ed esegesi, pubblicati dalla Queriniana di Brescia).
La sua attivita' pastorale (cappellano studentesco a Paderborn e poi prete coadiutore della parrocchia di Sankt Georg nella stessa citta') inizia nel 1972 e viene affiancata nel 1979 da quella di docente di Storia della religione e Dogmatica alla Facolta' teologica cattolica dell'Universita' di Paderborn. Contemporaneamente Drewermann inizia il lavoro di psicoterapeuta. Appassionato della persona di Gesu' di Nazaret, di cui egli non mette in alcun dubbio l'esistenza storica, ha cominciato presto a cercare un modo piu' giusto per rendere comprensibile alle persone il messaggio di liberazione di Gesu' e di renderlo concretamente efficace ai nostri giorni. Per questo ha approfondito molte conoscenze, da quelle storiche e storico-religiose a quelle scientifiche, riversando nelle omelie, nelle conferenze e in numerosissimi libri (circa 70 titoli a tutt'oggi) quanto andava scoprendo. Ha messo, ad esempio, in luce quanto sia grande il debito che il Cristianesimo ha nei confronti della religione egizia, sia per l'idea della "figliolanza divina sia per l'idea dell'immortalita' dell'anima; a questi temi ha dedicato due opere scientifiche, rispettivamente: Il tuo nome e' come il sapore della vita -Interpretazione dei racconti dell'infanzia del vangelo di Luca a partire dalla psicologia del profondo (trad. di Enzo Gatti), Queriniana, Brescia 1996, e Io discendo nella barca del sole -meditazioni su morte e resurrezione (trad. di Amelia Valtolina), Rizzoli, Milano 1993.
Alcune sue interpretazioni della Scritture e anche la sua critica a certi aspetti della Chiesa cattolica (specialmente Funzionari di Dio -Psicogramma di un ideale (trad. di Franz Reinders), Edition Raetia, Bolzano 1995) hanno attirato l'attenzione della gerarchia che, per mano del vescovo di Paderborn, gli ha prima tolto il permesso di insegnare (1991), proibendogli poi anche la predicazione, per arrivare infine alla sospensione "a divinis" (1992).
Da allora Drewermann insegna Sociologia e Antropologia culturale all'Universita' di Paderborn, e continua la sua attivita' di interprete della Scrittura, conferenziere, scrittore e psicoterapeuta, a proposito della quale, nelle interviste precisa che la svolge gratuitamente perche', senza la ricchezza dell'esperienza umana che gli viene dalle persone che si fidano di lui, in pratica, egli non sarebbe quello che e'.
Per la bibliografia completa rimando ai siti degli editori (sperando di non dimenticarne nessuno).

QUERINIANA di Brescia (che ha pubblicato la maggior parte delle opere uscite in italiano): www.queriniana.it (entrare nel sito, cliccare sulla seconda icona da sinistra e poi inserire il nome: Drewermann nel riquadro dell'autore; i titoli sono elencati senza un ordine preciso).

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