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Strumenti finanziari: quando è il momento di vendere?
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Articolo di Alessandro Pedone
24 settembre 2024 15:27
 
Quando è il momento “giusto” per vendere uno strumento finanziario? Mentre sui media finanziari si parla spesso di cosa comprare, talvolta di quando farlo e più raramente di come gestire un investimento dilazionato nel tempo, il tema del "quando vendere" viene affrontato con minore sistematicità. Eppure, ogni volta che i mercati azionari toccano i massimi, è facile trovare articoli o video che alimentano la paura (l'emozione che vende di più), profetizzando crolli imminenti supportati da elucubrazioni apparentemente dotte. Raramente si afferma apertamente che è il momento di vendere, ma spesso si lascia l’investitore inesperto con un senso di ansia, portandolo a temere per il proprio patrimonio e a credere che "qualcosa va fatto".

Ovviamente non esiste una risposta unica e valida per ogni situazione, ma in questo articolo cercherò di delineare alcune logiche fondamentali da applicare, che poi andranno adattate caso per caso. È facile intuire che saper vendere è una parte cruciale del processo d’investimento. Potremmo addirittura definirla la più importante, poiché sbagliare in questa fase può vanificare tutto il lavoro precedente. Spesso, infatti, è proprio nella fase di vendita che gli investitori inesperti commettono i maggiori errori. In finanza, le opportunità si costruiscono con gli acquisti, ma si concretizzano — o si distruggono — attraverso le vendite. Ecco perché è essenziale avere ben chiaro, sin dall’inizio, quando e perché vendere.

La propria filosofia d’investimento
Come ripeto spesso, il processo d’investimento deve partire da una riflessione chiara sulla propria filosofia d’investimento. In breve, la filosofia d’investimento è l’insieme di convinzioni su come si pensa funzionino i mercati finanziari sulle quali basare le scelte strategiche. Se non si inizia dal definire la filosofia d’investimento, si rischia di essere come foglie al vento, spinti qua e là dalle molteplici interpretazioni delle notizie che si susseguono sui mercati. Senza una visione coerente, si finisce per essere preda delle emozioni e, alla fine, ci si ritrova a scegliere tra rimorsi e rimpianti, spesso accumulando entrambi.

In questo contesto, possiamo semplificare le filosofie d’investimento in due grandi categorie: quelle basate sull'ipotesi dei mercati efficienti e quelle che accettano l'esistenza di cicli nei mercati finanziari. Chiarire con se stessi questo punto è cruciale.

Se si crede nell'ipotesi dei mercati efficienti, che domina nel mondo accademico, si accetta che i prezzi di mercato riflettano già tutte le informazioni disponibili. Pertanto, chiedersi se sia il momento giusto per vendere è inutile, poiché ogni considerazione in merito è già incorporata nei prezzi. In questo caso, l’unico buon momento per vendere è quando si ha bisogno di liquidità. Fine della storia. Se credi in questa teoria, puoi tranquillamente smettere di leggere.

Al contrario, se pensi che i mercati seguano dei cicli — con fasi di euforia, depressione, recupero e crescita — allora ha senso cercare di individuare in quale fase ci troviamo e tentare di ottimizzare i momenti di vendita.

I due approcci che ho brutalmente sintetizzato si ramificano in numerose sotto-categorie con varie sfumature. Per quanto mi riguarda, circa un quarto di secolo di studio ed esperienza diretta e professionale sui mercati finanziari mi ha radicato la convinzione che i cicli nei mercati esistono, ma che è impossibile prevedere con ragionevole accuratezza la durata di ciascuna fase. In altre parole, posso osservare se ci troviamo in una fase depressiva, di recupero, positiva o euforica. Posso anche inferire ragionevolmente che dopo una fase di depressione seguirà una fase di recupero e poi tutte le altre fasi, ma non è possibile sapere se la fase attuale durerà ancora poche settimane, mesi o anni.

Consiglio vivamente di diffidare da chi afferma di poter prevedere i mercati, qualunque sia la metodologia che dichiara di applicare. Nella mia lunga carriera professionale ho incontrato solo due categorie di persone che dicono di riuscire a prevedere “efficacemente” i mercati: gli ignoranti sinceramente illusi e i bugiardi.

Investire è un processo che dura tutta la vita
Quando si parla di vendere strumenti finanziari, è essenziale ricordare che ci sono solo due buone ragioni per farlo:
1 - Si ha bisogno di liquidità per far fronte a spese.
2 - Si vuole reinvestire il capitale in modo da ottimizzare il rendimento atteso, acquistando strumenti che si ritiene possano rendere di più o per evitare una perdita su quelli attualmente detenuti.

L'errore principale che commettono gli investitori inesperti è concentrarsi sulla singola operazione. Nel corso della mia carriera ho parlato con centinaia di investitori e nessuno è stato in grado di dirmi quanto avevano reso complessivamente i loro investimenti negli anni. Pochissimi, meno del 5%, sapevano con precisione il rendimento complessivo dell'ultimo anno, considerando cedole, dividendi, vendite, acquisti e tassazione. Invece di concentrarsi sul rendimento globale, molti si ricordano solo dei singoli episodi in cui hanno perso molto o guadagnato tanto, ma senza tener traccia del risultato complessivo.

Un investitore maturo, invece, sa che investire è un processo che dura tutta la vita. Vendere e comprare sono semplicemente due aspetti dello stesso processo dinamico. Quello che conta non è il risultato di una singola operazione, ma la direzione che sta prendendo l'intero processo d'investimento. Il mio patrimonio investito sta realmente producendo nuovo denaro, al netto dell’inflazione? O almeno lo sta proteggendo? Pochissimi investitori sanno rispondere dati alla mano a queste domande. E tu, lettore, puoi rispondere con certezza?

La capacità di vendere bene si acquisisce solo quando si riesce a collocare ogni singola vendita all'interno di un progetto d'investimento complessivo, che deve essere finalizzato a migliorare la qualità della vita propria e dei propri cari.

Se stai leggendo questo articolo per trovare una tecnica per massimizzare il rendimento di una singola operazione, mi spiace deluderti: non troverai nulla di simile qui. Il mio obiettivo è trasferire principi che ti aiutino a vendere al momento più opportuno, in funzione del tuo progetto d’investimento complessivo. Se non hai un progetto d'investimento, il problema non è quando vendere. Il problema è che hai acquistato senza un criterio. Il tuo primo passo deve essere quello di costruire un progetto d'investimento; solo allora potrai affrontare il tema di quando ottimizzare le vendite.

Vendere costa
Un aspetto che molti investitori inesperti – o, come li chiamo io, investitori-bambini – tendono a sottovalutare è che vendere non è gratis, anzi, può costare molto! Non parlo delle commissioni di negoziazione, che ormai possono essere davvero esigue, né di aspetti più tecnici come lo spread bid/ask. Parlo della tassazione. Quando si vende, si deve pagare il 26% dei guadagni allo Stato. Se si vende per coprire delle spese, questo costo fa parte del gioco e deve essere considerato all’interno del progetto d’investimento.

Se invece si pensa di vendere per ottimizzare il rendimento, è fondamentale capire che ha senso farlo solo in presenza di eccessi straordinari dei mercati, eventi che capitano una volta ogni tanti anni, non ogni mese o ogni anno. Se movimenti frequentemente il portafoglio e a ogni movimento perdi un quarto del guadagno, stai sabotando il più potente alleato che hai per generare ricchezza: la capitalizzazione composta.

Asset class, singoli titoli e fiscalità
L’investimento in singoli titoli segue logiche molto diverse rispetto all’investimento in panieri di titoli, come gli ETF. Vendere una singola azione è una cosa, mentre vendere un ETF che investe in tutte le azioni mondiali (o una sua ampia sottocategoria) è un’altra storia. Esistono ETF talmente specifici da rappresentare una via di mezzo. Un esempio? Qualche anno fa, andava di moda un ETF che investiva in aziende del settore della cannabis terapeutica. Non si può certo considerarlo un asset class: non è una singola azienda, ma le logiche per decidere se venderlo si avvicinano più a quelle dei singoli titoli piuttosto che a quelle di un ETF globale.

Investire in singoli titoli è estremamente complesso e inadatto alla maggior parte degli investitori inesperti. I principi di questo articolo si applicano agli investimenti in asset class. Tuttavia, vale la pena accennare a una regola importante per la vendita di singoli titoli: coerenza tra le logiche di selezione e quelle di vendita. Il disastro arriva quando si sceglie un'azione per ragioni fondamentali (come l'analisi dei bilanci) e poi la si vende basandosi sull'andamento del prezzo, o viceversa. Il problema è che la maggior parte degli investitori-bambini non ha seguito alcuna logica di acquisto, e quindi non può nemmeno applicare una logica coerente di vendita.

Questi investitori spesso scelgono titoli a caso, magari seguendo consigli ricevuti qua e là, e si trovano a dover scegliere se avere rimorsi o rimpianti. Ma anche in questo caso, il problema non è tanto se vendere o meno quel titolo: il problema è la mancanza di un processo d'investimento solido. L’errore tipico dell’investitore-bambino che investe in singoli titoli è quello di non vendere mai in perdita e di liquidare, invece, i titoli che sono andati bene. Ma con i singoli titoli bisognerebbe fare esattamente l’opposto: lasciar correre i cavalli vincenti e tagliare quelli scarsi.

Per quanto riguarda gli investimenti in asset class tramite ETF, salvo un’eccezione che affrontiamo nella prossima sezione, questi non dovrebbero essere venduti per ragioni legate all’andamento dei mercati, ma solo quando cambiano le esigenze dell’investitore. Questo rientra nella logica della vendita per coprire delle spese. Non dobbiamo dimenticare che l’obiettivo fondamentale dell’investimento è migliorare la nostra qualità della vita e quella delle persone a cui teniamo. Ciò significa poter affrontare spese che altrimenti non avremmo potuto permetterci, o che avremmo affrontato con meno serenità, senza i rendimenti generati dai mercati. Arriva un momento in cui il denaro investito deve essere speso. Se la nostra filosofia d’investimento si basa sull’idea che i mercati procedano per cicli, può avere senso cercare di ottimizzare il momento in cui vendere alcune asset class, in base alle spese previste all’interno del nostro progetto d’investimento. Questo sarà il tema dell'ultima parte dell'articolo.

Un caso particolare di vendita per ottimizzare i rendimenti è legato all’ottimizzazione fiscale. In Italia, almeno fino a quando non verrà attuata la tanto attesa riforma della tassazione sulle rendite finanziarie, le minusvalenze si compensano con le plusvalenze (o meglio, con alcuni tipi di plusvalenze) entro quattro anni. Ci sono situazioni in cui la vendita di un titolo non è dettata né dalla necessità di far fronte a una spesa né da considerazioni cicliche o di coerenza con i principi che ci hanno portato a scegliere un titolo. In questi casi, la decisione può essere legata a questioni fiscali, con l’obiettivo di compensare minusvalenze pregresse o generarne, per bilanciare future plusvalenze. Questi sono aspetti tecnici che richiedono competenze ed esperienza superiori rispetto a quelle possedute dalla maggior parte degli investitori, ma è comunque necessario menzionarli per trattare in modo completo l'argomento.

Evitare i grandi crash del mercato azionario
L’investitore maturo, che investe una parte significativa del suo portafoglio nel mercato azionario globale, deve essere consapevole che, sebbene raramente, possono verificarsi crash di mercato che potrebbero dimezzare il valore degli investimenti. Se si subisce un crash del genere senza prendere alcuna misura, l'intero progetto d'investimento può fallire, poiché il tempo necessario per recuperare l'investimento in termini reali e ottenere il rendimento previsto sarà molto lungo, probabilmente più di un decennio. Se si crede nell’ipotesi dei mercati efficienti, non c'è una vera soluzione a questo problema. L'unica "strategia" è sperare che non accada durante la propria vita. Ma sperare, come sappiamo, non è mai una buona strategia...
Al contrario, se si crede che i mercati finanziari seguano dei cicli, è indispensabile avere una strategia per evitare che un crash eccezionale distrugga il proprio progetto d’investimento.

Esistono solo due modi per proteggersi da un crash eccezionale:
1 - Avere una sufficiente riserva di capitale investita in obbligazioni, da destinare all'acquisto di azioni quando il crollo supera una normale fase negativa dei mercati azionari, ovvero quando la discesa è superiore al 35/40%. È ovvio che, per avere questa riserva, bisogna disporre di un capitale abbastanza grande da consentire di sostenere tutte le spese previste mantenendo una quota azionaria minoritaria. In questo caso, accetti rendimenti attesi più bassi, poiché hai una maggiore componente obbligazionaria. In genere, per seguire questa strategia, la quota azionaria massima non dovrebbe superare il 40%. Se invece il tuo progetto d'investimento prevede una quota azionaria superiore al 60%, sarà molto difficile avere la forza di passare, in caso di crash, da un 30% (dopo il dimezzamento) a oltre il 90%. Posso assicurarti, per esperienza personale, avendo vissuto professionalmente due di questi crash eccezionali, che un comune essere umano non farebbe mai una scelta simile in quei contesti.
2 - L'altra opzione è cercare di vendere una parte delle azioni (almeno dimezzandola) quando si verificano condizioni cicliche straordinarie, talmente evidenti da far temere un crollo eccezionale. A un occhio inesperto, questo approccio potrebbe sembrare simile a quello di chi sostiene di poter prevedere l'andamento dei mercati. Ma non si tratta di vendere per scommettere su un imminente crollo: si vende perché non si può accettare un rischio del genere, e gli indicatori che suggeriscono tale rischio sono ai livelli più alti nella tua esperienza d'investitore. In pratica, accetti di pagare un costo, come fosse un premio assicurativo, per evitare un rischio inaccettabile. Non si tratta di scommettere su un crollo, ma di proteggere il tuo progetto d'investimento.

Quali sono gli indicatori di rischio che fanno pensare che un crollo eccezionale potrebbe verificarsi? La storia e la logica ci insegnano che, affinché si verifichi un crollo eccezionale (nell’ordine del 50%), devono coesistere due condizioni: 1) le valutazioni del mercato azionario devono essere arrivate a livelli irragionevoli; 2) deve manifestarsi una recessione economica severa. Non esiste, ovviamente, un indicatore che possa dire con precisione quando i prezzi sono “irragionevoli” o quando si sta per entrare in una “recessione severa”. Serve esperienza per discernere quei rari momenti in cui entrambe queste condizioni si realizzano.

L’investitore meno esperto potrebbe avere difficoltà a identificare esattamente questi segnali, ma di solito percepisce l'euforia irrazionale degli altri investitori. In questi casi, farebbe bene a consultare un professionista per valutare la situazione con l’aiuto di un esperto.
Attualmente, nonostante le cassandre che popolano i media e i social, tentando di spaventare gli investitori per ottenere qualche like in più, i mercati azionari sono certamente cari, ma non mostrano chiari segnali di euforia irrazionale, né ci sono evidenti segni di una recessione economica severa imminente.

Sfruttare i cicli di mercato per ottimizzare le vendite
Se un investitore crede nell’efficienza dei mercati, l’approccio più coerente è investire nella parte azionaria tramite un solo ETF globale. Al contrario, chi crede nell’esistenza dei cicli di mercato potrebbe scegliere di scomporre l'indice azionario mondiale in sottocategorie geografiche, settoriali o fattoriali.

Questa suddivisione permette di individuare più facilmente quale parte del mercato si trova in una fase euforica e quale, invece, è depressa, consentendo di operare vendite sulle componenti in euforia.

La logica non dovrebbe essere quella di vendere i titoli in una fase di euforia per comprare quelli in una fase depressa. Questo significherebbe pensare di poter prevedere la durata delle fasi dei cicli. Come già accennato, questa operazione lascia sul tavolo un quarto dei guadagni, e alla lunga grazie agli inevitabili errori i costi superano i possibili benefici. La strategia corretta è piuttosto quella di prelevare i fondi che dovranno essere spesi dalla componente del mercato in fase euforica, lasciando che le componenti con maggiore potenziale di crescita continuino a maturare.

Per fare ciò, è utile pianificare le spese su un orizzonte pluriennale e destinare una parte del portafoglio a una scaletta obbligazionaria per coprire le spese previste. Va sempre tenuto a mente che le spese non dovrebbero mai essere coperte con la componente azionaria, ma con quella obbligazionaria. Tuttavia, quando la componente obbligazionaria si riduce per la copertura delle spese, è necessario ricostruirla per le prossime spese future, vendendo una parte della componente azionaria. Questo tipo di progettazione fornisce tutto il tempo necessario per scegliere il momento più opportuno per vendere la porzione del mercato azionario che si trova in una fase euforica o, ancora meglio, che mostra una correzione dopo aver attraversato una fase di euforia eccessiva.

Conclusione
Saper vendere è probabilmente la parte più importante di tutto il processo d’investimento. Il segreto sta nell'integrare questa fase all'interno di un progetto d'investimento complessivo. Se dovessi scegliere un solo concetto da lasciare al lettore, sarebbe questo: se non hai ancora un progetto d'investimento ben definito, prima di pensare a qualsiasi altra cosa, devi concentrarti nel costruirne uno. Solo con una visione chiara e a lungo termine, saprai quando e come vendere al meglio, evitando di agire impulsivamente o di inseguire i mercati senza una strategia solida.

 
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