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Il superbatterio che agita il mondo sanitario e politico
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Articolo di Rosa a Marca
1 settembre 2010 16:10
 
Non accade tutti i giorni che una ricerca scientifica susciti grandi malumori a livello internazionale. E' successo in agosto con lo studio su un batterio e pubblicato dalla rivista Lancet Infectious Diseases. Un gruppo dell'Università di Cardiff, con altri colleghi internazionali, ha seguito il diffondersi in vari Paesi di un superbatterio particolarmente resistente agli antibiotici. Si chiama NDM-1, proviene dal sud est asiatico e soprattutto da Pakistan e India. Finora sono state individuate circa quaranta infezioni gravi in Gran Bretagna, c'è stato un morto in Belgio, sono emersi due casi poco preoccupanti in Austria, segnalazioni sono giunte anche da Germania, Usa, Canada, Australia, Paesi Bassi. E se la Francia pensa d'introdurre un test per individuarlo e isolarlo tempestivamente, gli autori dello studio temono che l'NDM-1 possa diventare un grave problema di salute globale.
NDM-1 sta per “New Delhi metallo-beta-lattamasi-1” ed è un gene trasportato da alcuni batteri. Il ceppo di batteri che lo ospita è resistente a quasi tutti gli antibiotici, inclusi i carbapenemi che sono noti come antibiotici d'emergenza e usati in situazioni critiche: sono i più potenti e anche l'ultima risorsa contro le infezioni batteriche gravi (vedi escherichia coli o polmonite da klebsiella).
Il nome dato al gene, New Delhi metallo-beta-lattamasi-1, non è piaciuto alle autorità indiane. Il ministero della Salute respinge infatti il collegamento del superbatterio con l'India, e in un comunicato descrive il rapporto pubblicato da Lancet come sensazionalistico e sleale. I parlamentari sostengono che sia stato finanziato da società farmaceutiche. “L'India sta emergendo come meta di turismo medico, e questo genere di notizie può essere un disegno sinistro delle aziende multinazionali”, sostiene il partito d'opposizione Bharatiya Janata Party.
Anche a Kathrin Muehlemann, dell'Istituto di malattie infettive dell'Università di Berna, appare ingiustificato presentare i nuovi casi “indiani” come evento nuovo e drammatico, così come li dipingono certi organi di stampa. Dice che negli ultimi anni ci sono state altre resistenze di cui poco si è parlato. Nel 1998 in una clinica di New York sono morti 18 pazienti per infezione da batterio di klebsiella -altrettanto insensibile ai carbapenemi-, e in Grecia, Cipro, Israele i batteri dell'escherichia coli e klebsiella sono all'ordine del giorno.
Gli specialisti svizzeri dicono che, in effetti, la resistenza agli antibiotici dei batteri gram-negativi è stata trascurata rispetto all'attenzione posta ai gram-positivi, e che forse è giunto il momento di occuparsene meglio. Anche perché, da quando sono stati introdotti i carbapenemi vent'anni fa, non è stato fatto altro. Il motivo? Secondo il primario ospedaliero Urs Karrer, i laboratori non fanno grossi affari con gli antibiotici, considerato che il motto più forte contro la resistenza è divenuto: meno antibiotici.
Medici e batteriologi austriaci ritengono che il rischio di contagiarsi con il batterio NDM-1 sia piuttosto basso. Diversamente dai virus influenzali, che si trasmettono anche per via aerea, il contagio da NDM-1 comporta un contatto pelle contro pelle. “Questo tipo d'infezione non si contrae in autobus stando vicino a qualcuno che ce l'ha”, tranquillizza il direttore della clinica universitaria di Graz, Gernot Brunner.
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