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TAP in Salento. Nessuno vieti le contestazioni pacifiche, ma sono necessarie queste contestazioni?
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Articolo di Alessandro Pomes *
9 aprile 2017 12:42
 
 Ogni protesta pacifica è legittima. Chi pensa che sia legittimo usare la forza, la violenza, si pone al di fuori della legittimità, senza possibilità di obiezioni.
Nelle polemiche dei NoTap, il movimento che si oppone alla costruzione del gasdotto nel Salento, spesso compare la parola “democrazia”, sottintendendo che i cittadini che manifestano sono rappresentanza di una democrazia che viene violata e che TAP stia agendo contro il sentire democratico.
Non è, ovviamente, così.
Nei giorni della morte di Sartori viene facile ricordare che scriveva come si faccia difficoltà definire cosa sia una democrazia, ma che generalmente siamo in grado di dire cosa NON è una democrazia. La mancanza di procedure certe, riconosciute, slegate (almeno nella forma, certo) dalla volontà del potere esecutivo in carica, è caratteristica proprio di regimi autoritari, dove l’esercizio del potere è in mano ad un’oligarchia e si esplicita in modo totalitario. Quindi, un’importante caratteristica di un regime democratico è il riconoscimento e la codificazione di procedure, perché garantiscono la certificabilità dei passaggi e la responsabilità della catena di potere.
Chi pensa che la democrazia consista nel “si fa quello che dico io”, sia pure che quell’io sia costituito da centinaia di cittadini, sbaglia. Chi pensa che la legge venga piegata ad interessi superiori solo perché non condivide un’opera regolarmente autorizzata, sbaglia. La democrazia è rispetto delle procedure. I diritti dei singoli e delle comunità sono codificati: se si crede che ve ne siano degli ulteriori, bene si fa a rivendicarli, nel rispetto delle regole democratiche (quindi, di nuovo, delle procedure). Non esiste democrazia al di fuori delle procedure, almeno negli stati moderni così come li conosciamo: sembrerà formalismo, ma è semplicemente garanzia che un gruppo di potere, economico come di forza, nel piccolo di una località balneare come nel grosso di un paese, si sostituisca agli organi democraticamente eletti e sovverta le procedure, sostituendo la volontà dei singoli con quella generale. Per i dettagli, vi rimando a Sartori.
Democratico e legittimo quindi criticare TAP e manifestare pacificamente, altrettanto democratico e legittimo è non condividere quelle proteste. O addirittura sposare le ragioni di TAP o sostenere i propri interessi economici (che in Italia è praticamente una bestemmia).
Nelle righe successive non sosterrò le ragioni di TAP, che non mi interessano, ma vorrei trarre un quadro della situazione, con delle osservazioni su ciò che più mi compete.
La produzione di energia elettrica in Italia (2015) si è attestata a 283 TWh, a fronte di un consumo complessivo di 317 TWh. Produciamo 192 TWh grazie a fonti combustibili fossili, principalmente il gas (60%), rispetto ad un recente passato in cui predominavano petrolio e, soprattutto, carbone.
Circa 109 TWh sono stati prodotti grazie a fonti di energia rinnovabile: idroelettrico in primis, poi eolico, geotermico, e negli ultimi anni c’è stata l’impennata di fotovoltaico (che ormai rappresenta la terza fonte per energia rinnovabile prodotta) e biomasse.
E il rimanente necessario a coprire il nostro fabbisogno? Lo importiamo, essenzialmente dalla Francia e dalla Svizzera, di origine nucleare soprattutto. L’Italia è il primo paese al mondo per importazione di energia elettrica: produciamo meno di quello di cui abbiamo bisogno. Da notare che importiamo un po’ di più della semplice differenza tra produzione e consumo, ed esportiamo qualcosina di ciò che produciamo: questo perché gli scambi tra paesi vicini possono essere più convenienti rispetto al trasporto di energia verso zone del paese meno infrastrutturate o troppo lontane dagli impianti di produzione.
Attenzione: quando scrivo che “produciamo” energia elettrica significa che trasformiamo combustibili acquistati altrove: il carbone (ne produciamo pochissimo in Sardegna) lo importiamo tramite navi tanto dal nord che dal sud america, dal Sud Africa, Australia, Russia e Cina. Il petrolio proviene da molti paesi per tramite dei tanti oleodotti (ed un po’ per via navale), principalmente paesi dell'est (Russia, Azerbaijan) e nordafrica. Discorso analogo per il gas: tolto un po’ dai paesi nordafricani, qualcosa dal Qatar (GNL, per tramite di navi gasiere), il grosso viene dalla Russia.
Produciamo un pochino di gas (soprattutto offshore) e petrolio (sia offshore che onshore, ad esempio in Basilicata): siamo circa in rapporto 1:10 con quello che importiamo, e parte della produzione nazionale viene esportata (per un discorso analogo a quello scritto sopra: può essere più conveniente esportarlo).
Quindi siamo un paese pressoché esclusivamente dipendente dall’estero per la produzione di energia elettrica e per i combustibili per la locomozione.
Veniamo alla Puglia. La mia regione produce circa 31.000 GWh di elettricità, tra centrali termoelettriche (a Brindisi soprattutto) e fonti rinnovabili come fotovoltaico ed eolico. In particolare, quasi il 20% dell’energia rinnovabile prodotta in Italia viene dalla Puglia, grazie soprattutto all’eolico. La Puglia produce da 2 a 3 volte l’energia elettrica che consuma.
Non mi sono mai appartenute le fisime nazional-localistiche: ogni territorio (città, regione, nazione, continente) produce quel che può secondo quel che ha. Non c’è alcun dubbio che il meridione d’Italia sia stato oggetto di uno scellerato piano di industrializzazione statale finalizzato a distorcere l’economia di mercato e sostenere occupazione e consumi a discapito di altre risorse e delle conseguenze ambientali.
La conseguenze ambientali e per la salute in Puglia sono gravi. E’ così per ogni territorio in cui insistono grossi impianti industriali, è a maggior ragione vero in quelle zone d’Italia dove la politica ha creato la domanda e pianificato l’espansione, derogando al suo ruolo di controllore. Ed in questo giogo occupazionale/inquinante si sono tenuti per decenni i cittadini inermi, spesso inconsapevoli. Non solo in campo energetico: vale per la metallurgia, vale per i prodotti chimici, vale per molte altre industrie che hanno fatto del meridione un po’ la discarica d’Italia (non riguarda SOLO il meridione, ma riguarda soprattutto il meridione).
Anche lo sviluppo delle energie rinnovabili non è stato “green”: a dispetto di una vulgata ambientalista che vuole tutto ciò che è carbon-free bello e salubre, lo sviluppo dell’idroelettrico ha depauperato le risorse dei fiumi, creando danni a pesca ed agricoltura, modificando le falde, riducendo l’apporto di nutrienti a valle. Eolico e fotovoltaico non sono migliori: a queste due fonti, in gran parte a causa degli incentivi fiscali (ancora una volta la politica si sostituisce all’imprenditore), hanno conosciuto uno sviluppo esponenziale in una deregulation de facto. Nella maggior parte del meridione i campi agricoli sono stati convertiti a campi fotovoltaici, con danni alla produzione agricola e al paesaggio; le pale eoliche rappresentano un problema paesaggistico e di disturbo all’avifauna, in particolare se nelle vicinanze delle rotte migratorie (e la Puglia è una ragione importantissima per la convenzione Ramsar sulle aree umide di sosta delle specie migratorie). Sono un grande fautore delle energie rinnovabili e le cose potevano ovviamente essere fatte bene: ovviamente, da italiani le abbiamo fatte male. Molto male.
Manca un approccio strategico, sia nazionale che regionale, mancano procedure di valutazione che siano realmente efficaci e vincolanti, mancano strumenti di coordinazione locale, mancano strumenti di coinvolgimento dei cittadini. O meglio, mi correggo: tutti questi strumenti sulla carta esistono, ed anzi sono innumerevoli, ma spesso inefficaci ed aggirabili.
Detto tutto questo, davvero non riesco a concepire il fatto che si ricorra a costrutti autarchici: i pugliesi che non vogliono produrre più energia si scontreranno con i romagnoli che non vorranno esportare salami? I lombardi che faranno, cacceranno tutti i loro ingegneri e camerieri pugliesi? Dalla brexit alla pugliexit? Stupidaggini. Colossali stupidaggini. Non solo perché basate su una competizione ed un odio tra regioni che non ha motivo d’essere, ma perché totalmente controproducente per chiunque sia coinvolto. La società umana, da quando esiste il fuoco, è progredita per scambi con popolazioni vicine, scambi culturali, tecnologici, commerciali. Le riletture parziali ed autocommiseratorie di certa letteratura meridionalista revanchista sono come la pizzica: divertenti ma a furia di sentirle in ogni contesto hanno perso ogni attrattiva. Se i pugliesi stanno meglio rispetto a cento anni fa (sì, stanno meglio) lo devono allo sviluppo del nord; se il nord è riuscito ad esplodere economicamente lo deve ai suoi vicini esteri ma anche al mercato interno ed alla domanda di lavoro del Sud; questo vale per quasi ogni regione e parte d’Italia, vale per Venezia come per Palermo, vale per la montagna come per la costa, vale per la pianura padana come per il Tavoliere. Vale in tutto il mondo: arrendetevi, siete circondati dal progresso.
Veniamo quindi alla TAP. Il Trans Adriatic Pipeline è un importante asse di fornitura di gas naturale dall’Arzeibajian attraverso Grecia e Albania per arrivare in Italia e rifornire tanto il nostro paese (come detto, abbiamo sempre bisogno di gas) tanto il resto d’Europa, e che potrà essere alimentato anche da altri paesi. In parallelo, si sta procedendo allo studio di un secondo gasdotto che da Israele, attraverso Cipro, approderebbe a Otranto per unirsi alla medesima infrastruttura terrestre (capacità permettendo). Non è certo una novità: come detto, siamo pieni di gasdotti. Chi paventa esplosioni, pericoli, tragedie imminenti dovrebbe ricordarsi che l’Italia è attraversata in lungo ed in largo da migliaia di km di gasdotti – e la cronaca non mi pare abbia riportato incidenti e tragedie.


Fonte: SNAM










































Come per ogni opera, è legittimo avere dubbi ed è legittimo contestarla. Piuttosto che le contestazioni fini a se stesse, preferisco le critiche ragionate come questa https://goo.gl/ZPCwjk. Sì, le grandi infrastrutture non sono sempre rose fiori (ma dai?), viviamo in un mondo instabile, con felicità a momenti, ed un grande futuro incerto. Sul piatto pesano i nostri, abnormi, consumi energetici, la nostra dipendenza da paesi instabili o con interessi geopolitici concorrenti, la mancanza di un vero cambiamento della politica energetica nazionale. Poi ci sono gli aspetti infrastrutturali, di costi, ambientali.
Le infrastrutture, in realtà, in gran parte già esistono: da San Foca nel comune di Melendugno (LE), l’approdo di TAP in Italia, questo grosso tubo arriverà a Mesagne, città a ovest di Brindisi, dove c’è uno snodo SNAM che corre poi verso nord.
I costi: nonostante TAP sostenga che l’impresa sia completamente privata, ne è privata la composizione ma non gli schei. Le partecipazioni sono quasi tutte di società statali: per nostra parte c’è la SAIPEM, che è una controllata di ENI e di Cassa Depositi e Prestiti e sotto guida del Ministero dell’Economia. C’è anche la SNAM, a sua volta sempre azionariata da CDP. Insomma, classico capitalismo all’italiana, dove di privato c’è solo lo statuto giuridico della società. C’è da dire che è anche inevitabile, quando si parla di grossi player delle infrastrutture energetiche, sia per gli interessi nazionali che per i volumi in gioco, però.. ecco.. non parliamo di “privati”, dai. Questo pacchetto di amici ha chiesto un bel finanziamento alla Banca Europea per gli Investimenti: soldi che torneranno indietro, si spera, con la remuneratività dell’opera – ma non si esclude qualche rientro da parte dei singoli attori attraverso le bollette del gas degli italiani.
Tutte queste osservazioni sono importanti; le critiche che da queste si muovono sono fondate e spesso condivisibilissime. Poi, ovviamente, qualcuno può trarne un accettabile compromesso e qualcun altro ritenere che il gioco non valga la candela.
Veniamo agli aspetti ambientali, che poi sono quelli che mi interessano maggiormente. TAP ha presentato diverse richieste nell’ambito delle (non semplicissime) procedure autorizzative ambientali: assoggettabilità, VIA etc.
In particolare, il Ministero dell’Ambiente (MATTM) ha chiesto a TAP di proporre diversi approdi, specificatamente 6, dei quali ben 4 in territorio di Brindisi (con 7 opzioni di percorso per uno di essi, con approdo in corrispondenza del petrolchimico). I comuni coinvolti, che io sappia e sulla base di quel che ho trovato in rete, non si sono mai espressi nell’ambito della procedura di valutazione delle alternative (gradirei conferme/smentite – non valgono comunicati stampa, strilli, manifestazioni, piagnistei ex post: in una procedura, valgono le comunicazioni scritte nei tempi corretti). Il MATTM ha quindi proceduto ad un’autonoma valutazione delle possibilità offerte e ha concluso che San Foca fosse il miglior compromesso. Non ci sono praterie di Posidonia oceanica (pianta marina il cui habitat è considerato prioritario) oggetto di protezione di fronte alle coste; la struttura geologica è adeguata; non vi sono pericolosità idrogeologiche; non confligge con piani di sviluppo; non vi sono aree protette; non vi sono impianti industriali che possano interferire con il gasdotto, non vi sono agglomerati urbani che possano interferire con il gasdotto; ci sono minori impatti cumulativi.
Il gasdotto arriverà appoggiato sul fondale marino fino alla batimetrica -25m (corrispondente a circa 800m lineari di distanza dalla costa, in mare aperto): in quel punto, entrerà nel terreno (tecnologia di microtunnelling) e attraverserà il fondale marino prima e la terra emersa poi mantenendosi ad una profondità media rispetto al piano campagna di 10m. A circa 800m dalla costa, nel lato interno emerso, il tubo affiorerà parzialmente per poi continuare interrato (1,5 m di profondità) fino a circa 8km dalla costa, oltrepassando quindi Melendugno.


Fonte: Profilo longitudinale del microtunnel TAP, dalla richiesta di assoggettabilità a VIA depositata presso il Ministero dell’Ambiente






Nella campagna tra Melendugno e Vernole il gasdotto raggiungerà il terminale di ricezione, una serie di edifici ad un piano che si estenderanno su 3.500 mq (non 12 ettari come viene detto: quella è l’intera area a disposizione): per intenderci, è un terzo dell’area dell’impianto fotovoltaico esattamente a nord di Melendugno. Il punto più alto di questi edifici sarà costituito da due torri di sfiato, alte 10m. Le emissioni di questo impianto equivalgono pressappoco a quelle di un condominio, d’altra parte si regolarizza semplicemente la pressione del gas, non è un impianto di trasformazione. Secondo il SIA e il MATTM, sono un terzo di quelle ammesse per legge.


La tecnologia del microtunneling funziona come una grossa talpa teleguidata: questa talpa scava in profondità portandosi appresso i pezzi di tubo che vanno a costituire il gasdotto. La stazione di spinta della talpa è quella oggetto del cantiere appena aperto, e la sua realizzazione comporta l’espianto di circa 211 alberi di ulivo, recentemente bloccato dal TAR del Lazio sulla base di un ricorso, che appare decisamente pretestuoso, presentato dalla Regione Puglia sulla non ottemperanza di una delle prescrizioni al SIA. Al netto dei 13 ulivi trovati positivi alla xylella e quindi distrutti, gli altri saranno ricoverati in un vivaio per poi essere ripiantati al termine dei lavori. Così accadrà anche per gli altri alberi lungo il tracciato.
Ah, nessuno dei 211 alberi è un ulivo monumentale, protetto da un’apposita legge regionale che comunque, tanto per la cronaca, non impedisce l’espianto tout court.
Non è qualcosa di difficile, di anormale, di nuovo: in una regione come la Puglia lo si fa praticamente ogni mese. Ci sono aziende vivaistiche che praticamente si occupano solo di questo; le procedure sono ormai ampiamente assodate, provate, verificate. Per un tratto dell’Acquedotto del Sinni sono stati mobilitati 2.500 alberi di ulivo, tornati in dimora dopo i lavori. Per la nuova strada Maglie-Otranto sono stati espiantati oltre 8.000 alberi di ulivo, tra i quali 268 monumentali, che sono poi stati ripiantati in altre aree. Francamente, quella degli alberi di ulivo è, tra tutte le critiche che si possano fare al gasdotto TAP, quella tecnicamente meno comprensibile, eppure mediaticamente più sponsorizzata. E’ una pratica così assodata che la Regione Puglia emana delle linee guida per l’espianto ed il reimpianto: https://goo.gl/QbNrh9.
Coldiretti stima che ogni anno vengano espiantati 100.000 ulivi per i motivi più disparati, inclusa la vendita ad acquirenti del nord per motivi estetici. Gli ulivi sono stati decimati per far spazio agli impianti fotovoltaici. Ora assistiamo anche ai numerosi personaggi dello spettacolo che sposano la teoria dell’espianto selvaggio, della vita in pericolo degli ulivi come altri personaggi hanno fatto in passato fomentando la folla e contribuendo all’espansione della Xylella, che ha determinato l’infezione, secondo la Regione Puglia, di circa 10 milioni di alberi su 140.000 ettari.
Sì, lo so che c’è chi è davvero convinto che la Xylella l’abbia introdotta TAP per il suo gasdotto: io però posso solo parlare di scienza, per la fede irragionevole non sono attrezzato.

Dati e documenti da: Terna, Enel, Eni, TAP, Ministero dell’Ambiente, associazioni di categoria.  

* Alessandro Pomes, collaboratore Aduc
assegnista di ricerca presso l'università Iuav di Venezia, laureato in scienze ambientali, si occupa di valutazione di impatto ambientale in ambito terrestre e marittimo e di ricerca nel campo dell'impatto delle fonti di energia rinnovabile.
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