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Turchia. Un appello agli artisti tedeschi
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Articolo di Redazione
7 febbraio 2018 11:36
 
 “Soltanto dittatore” è il titolo di un lavoro teatrale attualmente vietato in Turchia. Ma cosa significa qui “soltanto”?
La settimana scorsa [20 gennaio 2018], al Teatro Gorki di Berlino abbiamo ricordato il nostro collega giornalista Hrant Dink assassinato undici anni fa. Il teatro era sotto la sorveglianza della polizia per proteggerlo da aggressori sobillati dal governo turco. Nello stesso tempo siamo venuti a sapere che in Turchia era stato vietato il lavoro teatrale “Soltanto dittatore” del nostro collega artista Baris Atay. Là la polizia circondava il teatro e non vi faceva entrare né attori né pubblico.
Allo stesso tempo, in due luoghi diversi, un teatro sorvegliato dalla polizia: nell’uno la polizia proteggeva l’artista dallo Stato, nell’altro lo Stato dall’artista.
L’opera teatrale “Soltanto dittatore” racconta di come un capo di stato autoritario metta il popolo sotto il suo dominio. Non stupisce che Erdogan si senta disturbato, anche se il suo nome non compare assolutamente mai nel testo. Però è sbalorditivo il fatto che, ogni volta che lui si sente disturbato, a pagarla cara sono gli artisti. E da quando, due settimane fa, il governo turco ha fatto partire l’operazione militare in Siria, il prezzo è diventato ancora più alto. La prima vittima designata è stato il famoso attore Mert Firat. Dall’esercito di troll fedeli al governo è stata riesumata un’intervista, in cui cinque anni fa egli si dichiarava contrario al servizio militare obbligatorio, e Firat è stato oggetto di regolare linciaggio. Poi in una trasmissione televisiva si parlò di quali siano gli artisti che rifiutano il sostegno all’operazione e i nomi dei contrari alla guerra diventarono il bersaglio. In seguito a ciò, coraggiosamente oltre 170 tra artiste e artisti, che sono contro la guerra, hanno composto un appello alla pace rivolto ai deputati al Parlamento. Naturalmente i media e i social si sono avventati senza indugio su di loro gettando loro addosso palate di merda. Inoltre sono piovute ingiurie da parte di Erdogan: “Sedicenti artisti, irresponsabili, traditori, dissoluti, volgari straccioni …”.
Il presidente non aveva ancora finito di recitare meccanicamente ciò che offriva il suo lessico offensivo, che la polizia assaltava le abitazioni di persone che si erano espresse contro la guerra su Twitter. La giornalista Nurcan Baysal, una di queste persone, ha raccontato: “Domenica. verso mezzanotte e mezzo, stavo guardando la televisione, mentre il mio bambino piccolo giocava col Lego. Un rumore tremendo mi ha strappato dalla poltrona. Ho pensato al terremoto. Mio marito e io abbiamo trattenuto i bambini e siamo corsi alla porta di casa. La polizia intendeva sfondare la porta, ma quest’ultima era robusta e non cedeva, le pareti scricchiolavano. Poco dopo si é precipitata dentro una unità speciale composta da una ventina di uomini mascherati con i kalashnikow”.
Baysal é stata arrestata davanti ai bambini. Al posto di polizia é stata interrogata sul perché fosse contro la guerra.
Questo in Turchia è il prezzo da pagare per essere contro la guerra. E tuttavia un pugno di coraggiosi intellettuali, artisti, scrittori, giornalisti, giuristi mantiene la propria libertà e, a costo della vita, mantiene il proprio diritto di parlare liberamente, e si impegna contro la guerra a favore della pace.
Questo è il momento giusto per gli artisti tedeschi di mostrarsi solidali. E’ l’ora di mettere in scena al teatro Gorki “Soltanto dittatore” di Baris Atays, di proiettare i film di Mert Firat, di tradurre in tedesco il servizio di Nurcan Baysal sul suo arresto, di tradurre i libri degli scrittori incarcerati, di firmare gli appelli che in Turchia hanno esposto al linciaggio i loro firmatari, di fare visita ai giornalisti in prigione, di mettere sotto osservazione i processi contro gli artisti, di organizzare esposizioni comuni per la pace e la libertà, di impegnarsi per la pace col linguaggio dell’arte, di esercitare solidarietà universale con gli artisti …

(articolo di Can Dündar, pubblicato su Die Zeit n. 06/2018 del 31 gennaio 2018)
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