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Usa. Attacco alla canapa
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Articolo di Alessandro Garzi
6 aprile 2002 19:05
 
Dopo un anno e mezzo dal suo insediamento, una cosa dell'Amministrazione Bush, in materia di sostanze stupefacenti, si e' capita bene: non ha esattamente tendenze innovative. Cominciando con le pressioni, circa un anno fa sulla Corte Suprema per il caso della marijuana terapeutica (che ribaltava, in pratica la decisione degli elettori di alcuni Stati qualche anno prima), continuando con il discorso al Congresso sull'argomento, dove chiede un impegno maggiore nella war on drugs domestica, usando quella che chiama "coercizione compassionevole", dove e' molto chiaro il senso di "coercizione", ma molto meno quello di "compassionevole", e dove ha chiesto di favorire, in un certo senso, quel tipo di programmi che "fanno uso del potere della fede".
All'interno della costosissima (in ogni termine) guerra alla droga made in Usa, c'e' un fronte secondario aperto contro la canapa.
Non contro la marijuana, contro la canapa. Non si deve fare confusione: la marijuana e la canapa "industriale", sono due piante della stessa specie, solo che la prima viene coltivata (soprattutto) per scopi "ricreazionali", l'altra per le fibre. La canapa industriale, e' stata una delle prime coltivazioni nella storia Usa, l'altra e' quella che un ex-presidente Usa, quando non era ancora ex, ha detto di non aver traspirato.
Non ci vuole molto per capire la differenza, che era anche scritta sulla legge che proibi' la marijuana nel 1937, dove si stabiliva che alcune parti della pianta "non producevano alcun effetto drogante".
La differenza e' chiara. Non per la Dea, l'agenzia antidroga americana, che ha bandito l'importazione e la vendita dei prodotti in canapa, o meglio, ha proibito la vendita e l'importazione di tutti quei prodotti (per il momento solo alimentari) che non contenessero lo 0% (cioe' niente) di THC, considerandoli come sostanze stupefacenti vere e proprie.
La Hemp Industries Association, un'associazione di categoria che rappresenta circa 250 industrie del settore, considera il provvedimento come illegale, e lunedi' prossimo comincera' a San Francisco la revisione del provvedimento. In piu', la ditta canadese Kenex, che produce semi di canapa, ha accusato il Governo Usa di violare gli accordi del Nafta (il trattato di libero scambio nordamericano).
Intanto, le industrie stanno per essere mandate sul lastrico, perche' da un lato ci sono le pressioni della Dea, dall'altro la Corte che dice che finche' non sara' finito il processo di revisione, e' perfettamente legale vendere prodotti alimentari a base di canapa. I negozianti, nel dubbio, tolgono la merce dagli scaffali, non si sa mai, e per le industrie, nei mesi di febbraio-marzo, le perdite si aggiravano attorno all'80%. Eppure questo era un business che stava cominciando a girare bene (mai come quello della droga illegale, comunque): in meno di dieci anni la quantita' di alimentari e prodotti come shampoo a base di canapa era passata da meno di un milione di dollari a piu' di venti. Stavano nascendo ristoranti con menu a base esclusivamente di canapa. Esiste anche un altro settore, non alimentare, "per il momento -dicono alla Hia- fuori pericolo, ma il Governo sta combattendo da anni la sua guerra contro la canapa, e questa e' solo l'ennesima battaglia. Dopo gli alimentari, probabilmente sara' la volta della proibizione dei prodotti per il body-care".
Il grado di Thc negli alimenti alla canapa venduti fino ad adesso, e' praticamente ridicolo. Da quanto dicono i produttori "si possono mangiare tonnellate di salatini e risultare comunque negativi ai test antidroga", "questi prodotti non potrebbero intossicare una formica, figuriamoci un essere umano", e fanno notare che non esistono ricerche scientifiche che dimostrano che l'uso degli alimenti a base di canapa dia gli stessi effetti psicoattivi della marijuana vera e propria.
E allora da dove nasce la decisione della Dea? Una interpretazione forse un po' forzata, l'aveva data, qualche mese fa l'associazione religiosa conservatrice Family Research Council, in un articolo, "la canapa e' marijuana: i nostri contadini dovrebbero coltivarla?". Robert Maginnis, che nell'associazione ricopre il modesto ruolo di "vicepresidente per la sicurezza nazionale e per gli affari esteri", autore dell'articolo, ci spiega, infatti che "legalizzare la canapa, da' un messaggio sbagliato verso il proprio simile, la marijuana. Vendere la canapa e' chiaramente un passo verso la legalizzazione della marijuana". Cioe': una cosa va proibita perche' somiglia a un'altra cosa proibita. Chiarissimo.
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