testata ADUC
USA E TIENI DA CONTO. OVVERO: L'IMPORTANZA DI UNA RI-VISITAZIONE
Scarica e stampa il PDF
Articolo di Annapaola Laldi
1 dicembre 2005 0:00
 
In questi giorni di fine novembre 2005, per una serie di associazioni, mi sono ricordata che sei anni fa (1999), di questi tempi, eravamo tutti piu' o meno accanitamente infervorati nell'attesa del fatidico cambiamento di data, e mi e' venuta la curiosita' di rileggere due libri che mi accompagnarono all'epoca; il primo, di divulgazione scientifica, che, gia' dal titolo (Il millennio che non c'e'), mi fece capire la futilita' dell'accanimento polemico sull'anno di inizio del XXI secolo dopo Cristo (2000 o 2001?); il secondo, di narrativa, che, con le sue Cronache di un millennio, mi fece piacevolmente ripercorrere alcune date salienti di questi benedetti mille anni.
Devo dire che a me piace rivisitare certi momenti del passato collettivo, di cui io sono stata parte, perche' questo mi consente di fare giustizia di alcuni pregiudizi che ho su di me, soprattutto e in primo luogo quello tenacissimo di essere diversa; ebbene, quando mi rivedo "alla moviola", devo ammettere di essere terribilmente uguale ... il che mi toglie, con l'illusione, un bel fardello dalle spalle.
Una seconda salutare constatazione, che diventa evidente in queste occasioni, riguarda il rapporto fra accanimento e conoscenza. In me stessa ho notato questo: quanto meno conosco, tanto piu' mi accanisco nell'affermazione assoluta del mio punto di vista, negando valore a tutti gli altri, cioe', quanto piu' sono incerta dentro tanto piu' sono intollerante all'esterno. Ovvero, in senso positivo: quanto piu' sono certa dentro di me, quanto piu' forti sono le basi della mia conoscenza, tanto piu' comprendo anche il valore degli altri punti di vista, senza sentirmi minacciata neppure da quello piu' opposto al mio.

Sei anni fa, il libro del paleontologo e biologo evoluzionista statunitense STEPHEN JAY GOULD Il millennio che non c'e', mi aiuto' in questi due sensi, perche' mi forni' una dovizia di informazioni storiche e scientifiche a dimostrazione che la divisione del tempo su base decimale, con la sua sottolineatura millenaristica di stampo apocalittico cristiano, e' un fatto puramente contingente, e quindi l'unico problema vero era quello di accordarci su quando festeggiare la svolta del millennio.
In particolare, nella mia quasi totale ignoranza di cose scientifiche, fui colpita dall'osservazione che nessuno dei tre grandi cicli naturali (il giorno come rotazione terrestre, la lunazione come rivoluzione della luna e l'anno come rivoluzione della terra) funziona come un multiplo perfetto degli altri due, ma che, al contrario, "la natura non da' altro che frazionarieta' con cifre decimali innumerevoli e senza fine" (p. 141).. E all'essere umano, fino dall'inizio, non e' rimasto che confrontarsi con questa "confusione", e gli innumerevoli calendari inventati in epoche e civilta' diverse sono nati tanto dal suo innato bisogno di "mettere ordine in un mondo confuso" quanto da esigenze pratiche come conoscere le stagioni per la caccia o l'agricoltura, le maree per la pesca o la navigazione (e, nel mondo cristiano, fissare con precisione la data della Pasqua).
Nella rilettura odierna, invece, mi ha attratto un tema che, pur rappresentando la filigrana dell'opera, allora mi era sfuggito. E' quello della preziosita' della "debolezza umana", di cui riporto qui l'osservazione che mi pare piu' completa:
"Mi sono sempre appassionato alle questioni di calendario perche' rivelano, su scala ridotta, tutte le debolezze umane. Difficile trovare altrove, altrettanto ben delineata, una combinazione cosi' stretta tra le trappole che una natura recalcitrante ci tende, le credenze errate della ragione e tutti gli ostacoli che derivano dall'abitudine e dall'emotivita', ossia da quelle insidie interne ed esterne alla conoscenza che rendono ancora piu' difficile la realizzazione della nostra brama di capire. Eppure, nonostante tutto continuiamo a spingerci avanti. E da qualche parte arriviamo [...] Se consideriamo l'entusiasmo per il millennio in particolare, e il fascino del calendario in generale, come spinte suscitate dal piacere dell'ordine e dalla gioia della comprensione, allora questo astruso argomento spesso considerato ambito esclusivo di fannulloni ed eccentrici, diventa il meraviglioso microcosmo di tutto quanto rende gli esseri umani cosi' particolari, cosi' potenzialmente nobili, e in realta' spesso cosi' buffi. Socrate e Charlie Chaplin hanno entrambi toccato le vette del sublime"(p. 157s.).

L'altro libro che ho citato, Cronache di un millennio, e' di un giovane narratore, fotografo e regista italiano, GIOVANNI DONFRANCESCO.
In questo caso, ho rinnovato il piacere della lettura delle 36 agili cronache (al massimo due pagine) che spaziano dal 7 gennaio 1009 al 31 dicembre 1999. Tracciati con incisivi tratti di una penna guidata da una umanita' ora dolente ora sorridente nonche' da un'ottima conoscenza della storia, ci troviamo a mano a mano in compagnia di persone comuni (donne e uomini, anziani e bambini), a cui la fantasia dell'autore ha pero' dato un nome preciso, che ci parlano dal vivo della loro esperienza che porta una data altrettanto precisa, quella di un evento o di un movimento storico e culturale, che forse finora per noi sono stati solo un'astrazione.
E' cosi' che, per es., vediamo gli effetti della peste di Firenze con occhi di bambina (Dianora degli Antellesi -23 agosto 1348); e un'altra bambina, piu' fortunata, possiamo seguire, mentre, durante una visita allo zoo, mette un po' in crisi il celeberrimo nonno (Lisa Darwin -11 maggio 1878). Oppure osserviamo la tragica fine dell'imperatore (Federico Barbarossa, annegato accidentalmente in un fiume dell'Asia Minore, durante la terza crociata) con lo sguardo inorridito del suo corazzaio che gli aveva preparato una splendida armatura forse pero' troppo pesante per l'anziano imperatore (Hans Tidelius -2 aprile 1190).

La capacita' di proporre suggestive riflessioni mi ha fatto usare questo libro, nei giorni scorsi, come una sorta di breviario, e di un paio di spunti interessanti per il mio presente voglio qui rendere conto.

Una delle storie piu' toccanti, secondo me, e' quella di Bettina di Aalst (30 giugno 1241), una contadina poverissima, la cui unica dote consiste in solo lungo lenzuolo di lino, che era "troppo poco perche' a qualche uomo dei dintorni gli prendesse la voglia di portarsela via", ma che forse, proprio per l'umanissima pieta' della donna, che non esito' a usarlo come sudario di un giustiziato, potrebbe essere diventato -chi puo' negarlo davvero?- oggetto di venerazione religiosa in una cattedrale europea. Una suggestione che invita a chiedermi: ma quando veneriamo qualcosa, in realta', che cosa veneriamo?

Su un altro tema per me molto importante mi fa soffermare la disputa che Eulao (8 agosto 1018 ) ha con il mulo che lo sta aiutando ad arare la dura terra del suo signore. Alla domanda del mulo: "Perche' mi frusti? Forse pensi che le mie carni non soffrano la sferza come la soffrono le tue?", il servo della gleba (che in sostanza significa "schiavo") risponde con orgoglio: "Perche' io sono un uomo", e aggiunge che lui ha comprato il mulo per ordine del suo signore. Al che, il mulo gli ribatte: "Se tu sei un uomo, allora anch'io lo sono. Perche', allo stesso modo in cui compro' me, il tuo signore compro' la terra che lavori, e con la terra compro' il padre di tuo padre, e compro' te e compro' i figli dei tuoi figli".
Il dialogo continua senza che l'uomo possa mai affermare qualcosa a cui il mulo non controbatta con logica implacabile a dimostrazione della somiglianza assoluta tra i due. E anche quella che sembrerebbe l'argomentazione decisiva a favore dell'uomo che "le sacre scritture insegnano che Iddio creo' l'uomo a sua immagine e somiglianza e che poi creo' gli animali per rendere lieto il suo vivere", il mulo la rivolge contro Eulao: "Se Dio nella sua infinita potenza avesse veramente creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, tu saresti signore delle terre e dei mari e non un misero servo della gleba quale sei". Il che costa la vita al mulo, ucciso a bastonate da Eulao, ma carica quest'ultimo dell'ulteriore peso del giogo dell'animale.
Non racchiude questo dialogo il tema del rifiuto che sempre abbiamo di fronte al fatto di vedere nell'altro il rispecchiamento della nostra fragilita', dei nostri limiti, dei nostri presunti difetti? E basta far scomparire lo specchio (magari eliminando fisicamente o moralmente chi ci fa da specchio) perche' scompaia anche la nostra fragilita'? Oppure, piuttosto, come suggerisce la fine di questa storia, eliminando lo specchio vivente, non facciamo altro che gravarci dell'ulteriore giogo rappresentato dalla responsabilita' di rifiutare scientemente la nostra realta'?

Il carattere principale del millennio di cui narrano queste cronache lo annuncia gia' la copertina di questo volume, offrendoci un particolare di un famoso quadro del 1814, in cui Francisco Goya rappresenta la tragedia delle Fucilazioni del 3 maggio.
Ed e' con un'immagine altrettanto drammatica che si chiude il libro. La "terribile malattia di fine millennio", ha portato via a Eleuterio (31 dicembre 1999) l'amico piu' caro senza consentirgli di poterlo riabbracciare. L'unica cosa che gli resta e' il biglietto che ha lasciato per lui in punto di morte: "poche parole malcerte, scritte in una lingua di trapasso tipica di quel fine millennio, ormai non piu' latina ma non ancora sbocciata in una delle moderne lingue romanze: L'alba part umet atra sol/ poy pasa bigil,/ mira clar tenebras.// L'alba porta sul mare oscuro il sole,/ poi valica il colle,/ guarda, le tenebre si rischiarano..".
Ma dove siamo, allora, se la fine del millennio ci viene incontro con gli stessi tre versi (attribuiti, nella prima pagina del libro, a un "Anonimo -anno 1000"), del suo inizio?
E quale sole illuminera' questa nuova alba? O non saremo noi, piuttosto, a dover aprire gli occhi per vederlo, magari facendo finalmente cadere da essi le scaglie che ci impediscono di cogliere con sorridente tranquillita' la somiglianza che ci viene incontro, di volta in volta, dall'altro, chiunque esso sia: umano o bestia, astro, pianta o minerale -e forse anche divino?


NOTA

1. Stephen Jay GOULD, Il millennio che non c'e', Il Saggiatore, Milano 1999 (trad. di Antonella Garbetta).
STEPHEN JAY GOULD (10..9.1941-20.5.2002) e' stato docente di Zoologia e Geologia a Harvard e poi docente di Biologia alla New York University. E' stato autore di molti libri di divulgazione scientifica, ottenendo molti premi prestigiosi. In italiano mi risulta tradotto anche Intelligenza e pregiudizio (Il Saggiatore, 1998).
clicca qui
clicca qui

2. Giovanni DONFRANCESCO, Cronache di un millennio, Moretti & Vitali, Bergamo 1999
GIOVANNI DONFRANCESCO (classe 1969) e' laureato in lettere e diplomato in regia. Ha al suo attivo alcuni libri editi da Moretti & Vitali (clicca qui ). Oltre a Cronache di un millennio (Premio "Arturo Loria" e finalista del Premio Firenze e del Premio Fregane), ha pubblicato Il labirinto di Altara (2003), e la traduzione di due libri del capo degli zapatisti del Chiapas (Messico): SUBCOMANDANTE MARCOS, I racconti del vecchio Antonio (1997) e Don Durito della Lacandona (1998). Al Chiapas, dove e' stato piu' volte, ha dedicato anche un libro di fotografie (I senza volto, Pagnini editore 1997) e un documentario dal titolo Un esercito di piccoli sognatori, sempre del 1997. Sempre in Messico, ma nel 2003, ha girato il documentario etno-musicale Jaraneros. Come regista ha lavorato per RAI SAT e STREAM TV, ideando la serie di 6 episodi "Ritorni", in cui accompagnava degli immigrati nella loro terra di origine (America del sud, Africa e Asia). Attualmente sta lavorando a un documentario sui crimini di guerra italiani (Italiani, brava gente) e alla trasposizione in film di Il labirinto di Altara.

3. Sulla specularita' delle relazioni in questa rubrica: "Della serie: cencio dice mal di straccio" del 15.11.2005
clicca qui

(a cura di Annapaola Laldi)
Pubblicato in:
 
 
ARTICOLI IN EVIDENZA
 
ADUC - Associazione Utenti e Consumatori APS