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La violenza, la vergogna e la noia
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Articolo di Alessandro Gallucci
18 ottobre 2011 18:50
 
A ripercorrere gli avvenimenti dell’ultima settimana a chi è abituato ad agire nel rispetto delle regole, a chi si dice legalitario, non sarà passato inosservato un fatto, la violenza, che, probabilmente, gli avrà causato due sentimenti: la vergogna e la noia. Il governo pone la fiducia per rimediare al pasticcio di una maggioranza ormai tediata da adempimenti parlamentari che percepisce come soverchi. O forse per riparare ai “mal di pancia” di qualche suo sostenitore, stando a quanto dicono i dietrologi. Sta di fatto che in aula si presentano i sostenitori dell’esecutivo e 5 oppositori. Tutti per fare il loro, contrapposto, dovere. Esprimere il proprio dissenso nel luogo dove assume reale valore, è atto inconcepibile per chi usa la propaganda come strumento di opposizione. Da stronzi, per dirla com’ha detto senza far passi indietro l’on. Rosy Bindi, convinta, ma smentita dai numeri, che i deputati radicali avessero fatto raggiungere alla seduta parlamentare il numero legale per validarla. Sentir dire queste cose da colei che è stata glorificata quale simbolo delle offese maschiliste del capo del governo, dà la cifra di quale sia la sua concezione dell’esercizio democratico del dissenso. Perché la lotta politica, oggi, è scesa così tanto di livello che per vincerla s’usano tutti gli strumenti. Proprio come ”i capaci di tutto ma proprio di tutto”. Una forma di violenza verbale aggravata dall’aura di purezza che le s’era costruita intorno. Nel frattempo capita che a Roma, nel corso della manifestazione degli indignati, un gruppo di violenti metta a ferro e fuoco una piazza e alcune vie della città. La violenza di chi, non sapendo farsi valere in altro modo, torna ai tempi del diritto delle tigri pensando d’ottenere qualcosa. Ma non ottiene nulla. O forse si. Perché qualcuno li segue. E’ così che “Il Giornale” rispondendo di petto ai violenti, apre la caccia all’uomo (http://www.ilgiornale.it/interni/beccato/black_bloc-roma-indignados-violenza-scontri/17-10-2011/articolo-id=552175-page=0-comments=1). Perché al giorno d’oggi la responsabilità penale personale e le pene che dovrebbero discenderne sono nulla rispetto al valore simbolico della gogna pubblica. Alla violenza fisica si risponde con la violenza mediatica che, lungi dal dare giustizia, dà in pasto al pubblico fiere da sacrificare con sentenza sommaria. A ruota politici d’ogni estrazione (Maroni e Di Pietro su tutti) a proporre leggi che definire severe è un eufemismo. La violenza legislativa. Il cerchio si chiude sempre in quella manifestazione che, da momento di espressione d’un malessere verso ciò che circonda, diventa, ulteriormente, teatro dello sfogo degli istinti più bassi di chi, disabituato a controbattere civilmente, si abbandona al turpiloquio più vile e finisce per sputare, offendendo nel modo più spregevole la dignità altrui. Violenza verbale e fisica che si aggiunge a quelle già venute fuori. Quanto è successo a Marco Pannella, sabato scorso, si commenta da solo. La piazza inferocita per ciò che ha avuto modo di sentire sul suo conto e su quel suo partito dalla mala informazione non lascia scampo a chi, a torto o a ragione, intende diversamente da loro la lotta politica: dentro le istituzioni, per salvaguardarne l’importanza che travalica la vita dei singoli per esaltarne la libertà, e non fuori per svilirle e renderle più fragili e assieme a loro indebolire i diritti dei cittadini. Questo metodo, però, fa a pugni con le necessità più basse di dare in pasto all’opinione pubblica un colpevole, senza nemmeno sapere se lo sia davvero, che assolva una funzione salvifica d’un sistema già in avanzato stato di disfacimento. E’ questa la vergogna, ossia quel sentimento di disapprovazione delle azioni di chi le compie pensando, malamente, di essere il giusto portatore di istanze di rinnovamento. Senza accorgersi che più che l’anticorpo è un virus che, in antitesi ma in fondo assieme a quello che combatte, distrugge e non salva l’organismo che lo ospita. Questa vergogna per loro, prova chi agisce pensando che l’impegno civico sia soprattutto sforzo di migliorare la situazione attuale attraverso l’esercizio democratico dei propri diritti. In quest’ottica gli riesce davvero difficile comprendere situazioni che di democratico e legale hanno ben poco. Il degrado dell’attuale situazione socio-politico-istituzionale, è evidente, passa anche dall’eccessiva semplificazione di alcune conquiste che debbono mantenere la loro indispensabile complessità per restar tali. Ciò, però, cozza con i riti della piazza che, invece, abbisognano di velocità e superficialità per ingurgitare, giorno dopo giorno, ogni avvenimento. In una spirale che, se assecondata ed incentivata, non può che portare al collasso del sistema. Anche per colpa di chi, complice inconsapevole, chiede cambiamento ma, in realtà, provoca distruzione. E’ qui che potrebbe farsi spazio la noia, cioè l’insoddisfazione di chi, abituato a muoversi nel sentiero della legalità, vede messi al pubblico ludibrio comportamenti che altrove sarebbero considerati virtuosi. Lasciar vincere la noia, però, significherebbe far vincere la violenza. Ed allora, forse, vale la pena continuare a resistere affinché gli istinti più bassi non prendano il sopravvento.
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