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Vita da clandestino. Senza Facebook…
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Articolo di Vincenzo Donvito
5 aprile 2018 13:07
 
 Cambridge Analytica continua a mietere vittime. Il ragazzo con la felpa Mark Zuckerberg continua, nel suo piu’ che evidente imbarazzo, a scusarsi e a sostenere di voler rimediare e cambiare le malefatte dell’oggetto del suo benessere economico, Facebook. E noi italiani, tutto sommato, ne siamo poco toccati.
Timidamente si legge, qui e la’, di qualche rinunciatario, talvolta noto, del proprio account e della sua vita post-social. Ma in sostanza, l’oggetto del desiderio della propria autostima continua ad essere al centro della comunicazione e dell’informazione, interpersonale, politica, sociale ed economica. Non c’e’ pubblicazione online -su quello che banalmente viene chiamato web di Internet- che non riporti la sfilza di immaginette dove si puo’ seguire lo stesso testo e le stesse immagini, e tra queste troneggia Facebook. Non averle sembra che sia sintomo di regresso, di emarginazione comunicativa e sociale.
Anche io mi sono fatto l’account su Facebook ed ho dato il mio contributo ai numeri stratosferici che fanno gigante il portafoglio del ragazzo con la felpa. Mi sono messo anche la foto identificativa (quello del mio antico cane ormai andato), qualche piccola foto di bei luoghi e belle persone i primi giorni di diversi anni fa e mi sono detto: mi serve per arricchire le mie informazioni, che’ se non sono iscritto, tante cose mi vengono precluse. L’ho creduto per un paio di giorni e sono tornato da dove ero partito: la clandestinita’. E, in effetti, non c’e’ giorno che non vengo preso per i fondelli da quelli con cui ho rapporti, perche’ mi ostino con il vecchio sistema di posta elettronica, arricchito con qualche messaggio di WhatsApp, per arricchire le mie informazioni, e cercare sul web e nelle agenzie stampa, nonche’ in ultima battuta sui quotidiani e qualche settimanale.
Ed ora che il ragazzo con la felpa va a giustificarsi a destra e a manca, e nonostante sembri che ai piu’ non gliene freghi nulla di essere stati venduti e usati a propria insaputa, sorrido nel leggere quel che accade. Perche’ non avrebbe potuto essere altrimenti, anche se Facebook fosse stato proprieta’ di un qualche Stato e che, per alcuni, di per se’ garanzia come strumento di pubblica utilita’. “Business as usual”, dicono gli anglofoni. Figuriamoci se hai la felpa e vieni dalla Silicon Valley, e tutto quello che dici e fai ha il manto dell’assoluto, del destino del “ecco cio’ che ci mancava”…. tranne accorgersi che questa macedonia di tecnologia, modernita’ e religiosita’ non e’, ne’ piu’ ne’ meno, lo stesso piatto di chi ti vende un’automobile, una casa, un viaggio o un tocco di formaggio: bello e utile quanto vuoi ma, per l’appunto, “quanto vuoi”, “quanto ti serve” e facendoci la tara per verificare se stai comprando il contenitore piuttosto che il contenuto.
E quindi sono un clandestino rispetto a Facebook e compagnia… eppure sono tra coloro piu’ informati della media (piacere, amore e professione). Per me Facebook potrebbe anche non esistere e, oltre a non sentirne la mancanza, credo che sarebbe un vantaggio. Sono un luddista? No, solo che il giocattolo di Zuckerberg ha fatto il suo tempo. E’ stato utile per tanti (non per me), e se continua ad esserlo e’ solo perche’ in tanti -abitudinariamente- lo usano come la mattina si lavano i denti con lo spazzolino. E quello che e’ accaduto con Cambridge Analytica ci ha mostrato quello che potevamo sapere ma che, per vari motivi soggettivi e oggettivi, abbiamo voluto ignorare si’ da poter rispondere prontamente a quelli che ci dicevano “l’ho letto su Facebook”.
Da clandestino in movimento non posso che dire “avanti il prossimo”, auspicando che ognuno abbia fatto e faccia tesoro del suo essere stato usato a sua volontaria insaputa.

Ps
Qui un’altra riflessione non clandestina in materia
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