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ANNO GIUDIZIARIO: IO SPERIAMO CHE ME LA CAVO
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Comunicato 
15 gennaio 2000 0:00
 


UNA GIUSTIZIA FRAMMENTATA CON PIU' ATTENZIONE AI PROPRI PROBLEMI CHE A QUELLI DEGLI UTENTI

Firenze, 15 gennaio 2000. La fotografia della giustizia presentata durante l'inaugurazione dell'anno giudiziario nelle citta' italiane ispira un motivo conduttore: io speriamo che me la cavo, parafrasando il celebre titolo del libro di Marcello D'Orta.
Cosi' interviene il presidente dell'Aduc, Vincenzo Donvito.
Un puzzle dello sfascio dove l'utente, per rendersi realmente conto cosa stia accadendo, dovrebbe finirci dentro, per scoprire che non e' come nei filmati di Perry Mason. Il top di questa foto si raggiunge a Reggio Calabria dove il garantismo viene denunciato come lievito della mafia; mentre a Firenze si preoccupano per i dettagli elevati a regole costituzionali.
Guardandola dal nostro punto di vista, di utenti del servizio giustizia concesso da un fornitore unico e indiscutibile, si ha la conferma di essere considerati come il solito pacchetto che serve a far funzionare la macchina. Se poi il pacchetto sia soddisfatto, tenuto in anticamera e in camera per infiniti anni, poco importa -al di la' dei discorsi e delle denunce che per l'occasione si fanno altisonanti- anche perche' e', per l'appunto, un pacchetto, non un portatore di diritti che chiede giustizia.
Non stupisce, infine, il diffuso minore ricorso all'intervento della giustizia: se puo' essere letto come un migliore funzionamento degli strumenti di prevenzione e una maggiore conoscenza e coscienza dei cittadini, non crediamo di fare offesa al buon senso nel credere che, invece, si tratti di una maggiore sfiducia da parte degli utenti nel ricorrere ad un giudice terzo che, spesso, e' solo foriero di lungaggini, che costano e fanno perdere tempo, e percio' "tanto vale tenersi l'ingiustizia".
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