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LIBERTA' DI STAMPA E ORDINE DEI GIORNALISTI? INCOMPATIBILI?
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Comunicato 
5 dicembre 1998 0:00
 

UN PROCESSO PER STAMPA CLANDESTINA, CHE SI CELEBRA LUNEDI' 7 A LIVORNO, SERVE A RICORDARE L'ASSURDITA' DELLA LEGGE: E' NECESSARIO CAMBIARLA.

Firenze, 5 Dicembre 1998. Lunedi' prossimo 7 dicembre, a Livorno si tiene un processo per stampa clandestina contro due giovani radicali -Alessandra Impallazzo e Davide Bedarida- che nel 1996 violarono di proposito la legge sulla stampa per manifestare la loro contrarieta' alle norme che obbligano che il direttore responsabile di un giornale sia iscritto all'Ordine dei giornalisti: un atto di disobbedienza civile che, distribuendo un giornale che si chiamava "Risorgimento liberale", li portera' sicuramente alla condanna.
Interviene Vincenzo Donvito, presidente nazionale dell'Aduc.
Non e' un piccolo processo, o uno dei tanti della variegata galassia del partito radicale. E' un momento importante di riflessione e di stimolo, per ricordare cio' che e' successo, cio' che e' stato detto, cosa e' stato promesso, e cosa non e' successo.
La legge da' valore solo alla responsabilita' di chi e' iscritto ad una corporazione, dandole un potere tale che mina la liberta' d'espressione, che, per essere tale, ha bisogno solo di essere libera e responsabile espressione di un individuo. Crediamo che i giornalisti siano liberi di aderire a tutte le corporazioni o associazioni che gli piacciono, ma questa liberta', quando diventa imposizione per la creazione e la diffusione degli strumenti della liberta' stessa -come i mezzi d'informazione-, non e' piu' tale, ma diventa privilegio corporativo.
Sulla questione dell'abolizione di questi privilegi, gli italiani sono stati anche chiamati alle urne nel '97 con un referendum, che, nonostante il consenso del 65% degli elettori, non modifico' la legislazione perche' ando' a votare meno della meta' degli aventi diritto. Ma quell'occasione fu buona perche' si discusse molto del problema, e svariate furono le proposte di legge per modificare la situazione. Ma i fatti ci hanno dimostrato che erano solo fuochi fatui, perche' passato il referendum, tutti i suoi oppositori che paventavano altre riforme, si sono zittiti e non hanno mosso un dito per far avanzare l'iter delle proposte al Parlamento. Alcune erano proposte peggiorative -dal nostro punto di vista della liberta' d'espressione- ma il fatto stesso che non siano state piu' sbandierate, e' sintomatico che chi paventava il cambiamento, in realta' lo faceva in modo strumentale, per rafforzare l'esistente.
Ecco perche' il processo ai due giovani radicali livornesi assume importanza: puo' essere occasione perche' si riprenda il confronto, si facciano le proposte, si sviluppino le analisi. Nei Paesi liberi si dovrebbe fare cosi': discutere in liberta', a maggior ragione di fronte al coraggio e alla tenacia di chi mette in pericolo la sua liberta' personale per affermare quella di tutti.
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