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Roma Capitale. La Raggi, i rifiuti e il riuso creativo
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Comunicato di Primo Mastrantoni
9 ottobre 2019 9:48
 
 Un tempo si chiamavano bidelli, ora operatori scolastici, prima erano netturbini ora sono operatori ecologici. E' la trasformazione di nomi e professioni dei quali, il buonismo imperante, ha tentato di rendere gradevole il suono degli appellativi.

Anche ai rifiuti, quelli che a Roma si chiamano "monnezza", si è trovato il modo di ingentilirne la definizione: materiale post-consumo. E' la definizione della assessore Pinuccia Montanari, dimessasi mesi fa per contrasti con la sindaca Virginia Raggi.
Scriveva, la ex assessore Montanari: "Noi non li vogliamo più chiamare rifiuti, ma li vogliamo definire materiale post-consumo: materiali che potrebbero ritornare ad avere vita, attraverso un processo che li valorizzi dal punto di vista ambientale ma anche da quello sociale e da quello della tutela della salute". 
Parafrasando il Leopardi, invocando indulgenza, potremmo dire "il naufragar è dolce in questo mare di parole".

Nel frattempo che il nome "rifiuti" si trasformi in valore socio-sanitario e ambientale, a Roma i rifiuti fanno, parte dell'ambiente  quotidiano.

Una soluzione prospettata dalla sindaca Raggi è quella del "riciclo creativo", "un luogo dove le persone possono portare oggetti che non usano e che avranno vita nuova. Potrà essere anche un luogo di aggregazione, in Francia li chiamano "repair cafè". Dimentica, la Raggi, che questi luoghi esistono da tempo, prima della sua elezione a sindaca, e che rimane il problema della prosaica "monnezza" che non trova luoghi dove si pratichi il riciclo creativo.

Dopo più di 3 anni dalla sua elezione, la sindaca Raggi offre, alla vista,  cassonetti della "monnezza" stracolmi e maleodoranti, sacchi di rifiuti accatastati e frotte di topi e gabbiani  intendi a banchettare.

Alla faccia del materiale post-consumo e del riciclo creativo.
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