Ieri sera sono stato ospite in una TV regionale piuttosto importante della Toscana in una trasmissione dove era ospite anche il presidente dell'ABI, Antonio Patuelli, il quale ha fatto il solito discorso sul presunto rapporto di fiducia fra investitore e banca. Patuelli si è spinto a dire che i bancari sono un po' dei “confessori” degli italiani perché per scegliere come investire i propri soldi i clienti racconterebbero ai bancari tutte le cose della loro vita e si costruirebbe così il rapporto di fiducia che, secondo Patuelli ed altri in trasmissione, “
dovrebbe essere alla base del rapporto fra banca e clienti”.
Niente di più sbagliato!
Il rapporto fra banche ed investitori dovrebbe essere un rapporto basato sull'informazione, non sulla fiducia.
Le banche non sono liberi professionisti, come potrebbe essere un medico, un avvocato, un commercialista. Le banche vendono i loro servizi e prodotti finanziari cercando di massimizzare il loro profitto. Se un bancario o un promotore finanziario suggerisce l'investimento “A” oppure l'investimento “B” ciò che finisce in tasca alla banca (e – più o meno direttamente - a colui che suggerisce) può cambiare sensibilmente.
Facciamo un esempio concreto legato alla particolarissima situazione finanziaria attuale.
Chiunque ha un minimo di reale competenza finanziaria sa perfettamente che investire in fondi obbligazionari adesso è pressoché insensato. I costi dei fondi stessi sono, in molti casi, ben superiori ai rendimenti attesi dai titoli che hanno in pancia.
Eppure la fetta più grande del denaro affidato alla così detta industria del risparmio gestito, ad oggi, è detenuta in strumenti obbligazionari.
L'industria del risparmio gestito non ha alcun interesse a smobilizzare tutti quei soldi che quasi certamente non renderanno nulla ai propri clienti (e molto probabilmente subiranno delle perdite), ma continuano a rappresentare un flusso di ricavi importante per le banche.
Ugualmente sappiamo che anche l'azionario, specialmente quello USA, ha prezzi a dir poco molto tirati. Qui si può discutere su quando e come inizierà la fase negativa, ma non si può discutere sul fatto che si tratta, oggi più che quattro o cinque anni fa, di un investimento particolarmente rischioso. Ciò nonostante, il messaggio che un po' tutti gli istituti finanziari hanno mandato nelle loro direttive di inizio anno è quello di suggerire agli investitori, per i nuovi soldi che portano, di privilegiare la componente azionaria. Perché? Perché il consiglio tendenzialmente più saggio per la maggior parte degli investitori, ovvero quello di restare liquidi in attesa che la situazione si normalizzi, non è un'opzione che può essere presa in considerazione. Questo perché nessuno guadagna niente dal restare liquidi: “da qualche parte i soldi si devono impiegare” altrimenti la baracca chiude. Allora, meglio le azioni perché queste ultime, rispetto alle obbligazioni, hanno almeno la speranza di guadagnare più dei costi che l'industria del risparmio gestito fa pagare al cliente. Ma questo è un problema dell'industria del risparmio gestito, non del singolo cliente il quale, secondo Patuelli ed altri, dovrebbe fidarsi di ciò che gli dicono in banca, mentre la banca racconta al cliente ciò che è più conveniente per lei e non certo per il cliente stesso.
In questa sede non voglio soffermarmi tanto sul problema dell'opportunità o meno, in questa fase, di investire in azioni. Potrebbero esserci anche degli argomenti per i quali qualcuno possa scegliere consapevolmente di correre questo rischio e potrebbe anche andargli bene per un po'. Il punto è capire che tantissimi di quelli che in questo momento stanno investendo in azioni, consigliati dai vari venditori dell'industria del risparmio gestito non si rendono minimamente conto del reale rischio che stanno correndo. Ciò accade perché suggerire di investire in azioni è ciò che maggiormente conviene all'industria del risparmio gestito, non certo agli investitori.
Uno delle ragioni fondamentali per le quali è nato questo spazio sul sito dell'Aduc è proprio per cercare di dare delle informazioni agli investitori privati affinché smettano di basare il proprio rapporto con la banca sulla fiducia e inizino a fondarlo sull'informazione, sulle conoscenze.
A distanza di molti anni, devo dire che molti hanno compreso qual è il vero ruolo delle banche e la fiducia nel sistema bancario, per fortuna, è ai minimi storici.
Molti hanno compreso che la banca suggerisce ciò che conviene a lei e non ciò che conviene al cliente. Quindi, diventa fondamentale che il singolo investitore si crei quel minimo di conoscenze che gli consentano di fare scelte consapevoli oppure, per patrimoni un po' più importanti, si affidi a chi può consigliarlo in modo indipendente.