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Si vendono piu’ automobili. Perche’ non riusciamo ad essere felici?
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Editoriale di Vincenzo Donvito
17 gennaio 2017 10:20
 
 Grande felicita’ e soddisfazione trasuda dalle notizie che danno oggi in aumento, per il 2016, le vendite di auto in Ue e Paesi Efta: +6,5%. Leader delle vendite il gruppo Volkswagen, inossidabile nonostante le vicende “dieselgate”. Cresce anche Fca (la novella Fiat dopo la fusione con la statunitense Chrysler) che, pur non scalfendo i primati di Renault e Psa, viene enfatizzata dai media nazionali, proni e memori di quella che una volta era l’industria nazionale per eccellenza, quella che capitalizzava gli utili e socializzava le perdite, proprio come oggi continua a fare Alitalia nonostante i cospicui soldi che gli arrivano da Etihad.
Dovremmo essere felici perche’ c’e’ un ambito industriale che tira nonostante la crisi, ed essere altrettanto felici perche’, anche se non nei primi posti, coinvolge la nostra industria nazionale che da’ ancora lavoro a diverse persone? No! Proprio non ce la facciamo. Come consumatori, come cittadini, come contribuenti, come ecologisti, come coloro che amano i propri cari, qui e in tutto il Pianeta. Non ce la facciamo perche’ forse abbiamo la capacita’ di vedere oltre il nostro naso e di non avere i paraocchi. Forse perche’ abbiamo la testardaggine di osservare, valutare, ascoltare, intuire, fare calcoli… e 2+2 continua a risultarci 4 e non 5 o 3. E vediamo proprio in questi giorni le nostre citta’ imbottigliate dal traffico, con i centri chiusi al traffico per il troppo smog, con le targhe alterne; e vediamo i dati dell’Organizzazione Mondiale della Sanita’ (OMS) che ci danno in speculare crescita le malattie e i morti da inquinamento urbano, considerando quest’ultimo non solo dal punto di vista delle emissioni ad effetto serra ma anche dal punto di vista di stress individuale e collettivo, nonche’ dal punto di vista economico (spese dei singoli ed investimenti infrastrutturali pubblici). E poi, se guardiamo oltre le nostre citta’ (Milano come Parigi, New York come Pechino o Istanbul, Firenze come Roma e Il Cairo, etc.), li’ dove si muore per fame con percentuali a due zeri, e vediamo modelli di sviluppo che si basano -copiandoli, quasi sempre senza neanche gli ultimi accorgimenti tecnologici che attenuano il fenomeno di avvelenamento- su quelli che hanno portato la nostra urbanizzazione alla attuale saturazione.. No, non siamo felici.
Testardamente, nei nostri centri urbani avvelenati da smog e traffico, continuiamo ad andare in bicicletta rischiando la vita ogni giorno per le carenze infrastrutturali specifiche. Testardamente continuiamo a cercare di comunicare ai nostri cari e ai nostri concittadini questo nostro disagio e le nostre aspettative. Con scarso successo, individuale e collettivo. Testardamente ci rendiamo conto che ne sono responsabili governi, amministrazioni, informazione, avidita’ umana e incapacita’ diffusa. Ma la nostra testardaggine non basta. Cosi’ come non basterebbe che qualche testardo arrivasse in qualche stanza del potere. Ci sarebbe bisogno di una grande presa di coscienza e consapevolezza, individuale e collettiva (intesa come somma di individui e non di popoli, che continuano ad esistere solo nelle teste dei demagoghi di ogni risma, e che ci hanno portato all’attuale sfascio).
Siamo, per l’appunto, testardi. E continuiamo ad esserlo. Testardi disarmati. Con il possesso individuale della parola e del corpo. Che cerchiamo di comunicare anche a coloro che hanno potere, che’ usino questo parametro.
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