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 U.E. - U.E. - Segni visibili confessioni e idee. Un ente pubblico può vietare. Corte Giustizia
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4 maggio 2023 15:14
 
Con due decisioni individuali, a una dipendente del Comune di Ans (Belgio) è stato vietato di indossare il velo islamico sul posto di lavoro. In tale contesto, il Comune ha successivamente modificato il proprio regolamento di lavoro, imponendo da quel momento ai propri dipendenti di rispettare una rigorosa neutralità, vietando qualsiasi forma di proselitismo e bandendo l’uso di segni vistosi di appartenenza ideologica o religiosa. La dipendente ritiene che, così facendo, il Comune violi la sua libertà di religione.
Il Tribunale del lavoro di Liegi (Belgio), adito dalla lavoratrice, ritiene che il divieto previsto da tale regolamento di lavoro non costituisca una discriminazione diretta basata sulle convinzioni religiose o filosofiche, bensì, a quanto pare, una discriminazione indiretta basata su tali criteri. 
Tale giudice si chiede se, ai sensi della direttiva «antidiscriminazione» in materia di occupazione e di condizioni di lavoro, il fatto di imporre una neutralità «esclusiva e assoluta» a tutti i dipendenti di un servizio pubblico, persino a coloro che non hanno alcun contatto diretto con gli utenti del servizio pubblico, costituisca una finalità legittima e se i mezzi impiegati per il suo conseguimento, ossia il divieto di indossare qualsiasi segno di convinzioni personali, siano appropriati e necessari.
Nelle sue conclusioni, l’avvocato generale Anthony Collins constata che il regolamento di lavoro del Comune di Ans rientra chiaramente nell’ambito di applicazione della direttiva, in quanto questa riguarda sia il settore pubblico che il settore privato, e che un divieto come quello in questione rientra nell’ambito «dell’occupazione e [delle] condizioni di lavoro» ai sensi di tale direttiva. Egli rileva, inoltre, che la nozione di «religione» indicata in detta direttiva ricomprende sia il fatto di avere convinzioni religiose, sia la manifestazione in pubblico della fede religiosa, come il fatto per una donna di indossare il velo islamico.
A suo avviso, il quadro generale stabilito dalla direttiva lascia un margine di discrezionalità agli Stati membri, che è tanto più ampio quando sono in gioco principi che possono riguardare la loro identità nazionale. Il fatto di prevedere restrizioni alla libertà dei dipendenti pubblici di manifestare le proprie convinzioni politiche, filosofiche o religiose nell’esercizio delle loro funzioni può essere di tale importanza in alcuni Stati membri da rientrare 
nell’identità nazionale insita nelle loro strutture fondamentali, politiche e costituzionali.
L’avvocato generale Collins ritiene che il regolamento di lavoro di un ente pubblico che, al fine di organizzare un ambiente amministrativo totalmente neutro, vieta ai suoi dipendenti di indossare qualsiasi segno visibile di convinzioni politiche, religiose o filosofiche sul luogo di lavoro non costituisca una discriminazione diretta fondata sulla religione o sulle convinzioni personali, ai sensi della direttiva, ove tale divieto sia applicato in maniera generale e indiscriminata.
Per quanto riguarda la questione se tale divieto costituisca una discriminazione indiretta, l’avvocato generale Collins ritiene che, sebbene esso sia apparentemente neutro, non si può escludere che possa in realtà colpire maggiormente una determinata categoria di persone, come i dipendenti del Comune che osservano determinati precetti religiosi che impongono loro un particolare abbigliamento e segnatamente le lavoratrici che indossano un
velo a causa della loro fede musulmana; tale questione rientra, tuttavia, nella valutazione del giudice del rinvio. Egliaggiunge che una tale differenza di trattamento non costituirebbe, però, una discriminazione indiretta se fosse oggettivamente giustificata da una finalità legittima e se i mezzi impiegati per conseguirla fossero appropriati e necessari. 
La volontà di condurre una politica di neutralità politica, filosofica e religiosa all’interno di un ente pubblico è, in termini assoluti, idonea a configurare una finalità legittima, in particolare al fine di rispettare le convinzioni filosofiche e religiose dei cittadini, nonché alla luce della necessità di un trattamento paritario e non discriminatorio degli utenti del servizio pubblico.
Inoltre, l’esistenza di una giustificazione oggettiva per operare tale distinzione fa riferimento alle diverse concezioni della neutralità esistenti in Belgio. L’avvocato generale Collins rileva che il Comune, nell’adottare il divieto in questione, ha optato volontariamente per una «neutralità esclusiva», al fine di creare uno «spazio amministrativo totalmente neutro». Egli ritiene che spetti al Comune dimostrare che tale scelta risponde a un’esigenza reale e 
al Tribunale del lavoro di Liegi valutare la fondatezza di tale dimostrazione, e ciò da due punti di vista, non necessariamente cumulativi. Da un lato, secondo l’avvocato generale Collins, il Tribunale del lavoro di Liegi dovrebbe tenere conto dell’apparente assenza in Belgio di un obbligo legislativo o costituzionale che imponga ai dipendenti di un Comune il rispetto di una neutralità esclusiva. Dall’altro lato, occorrerebbe verificare se la scelta del Comune sia giustificata da elementi di fatto. A tale proposito, l’autorizzazione incondizionata a indossare segni di convinzioni filosofiche o religiose in altre città del Belgio solleva legittimamente la questione della pertinenza del divieto in questione.
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