Contro il telemarketing selvaggio il codice di condotta, il sistema del registro delle opposizioni, la vigilanza esistenti oggi non bastano. Occorre di più, occorre un sistema, sulla falsariga di quello Stir/Shaken esistente in altri Paesi europei, attraverso il quale si possano contrassegnare le chiamate legittime usando una sorta di firma digitale, in maniera da individuarle e bloccarle prima che arrivino a destinazione quando il numero di provenienza “firmato” dall’operatore risulta diverso da quello che il chiamante presenta all’utente. Un sistema che possa essere arbitrato e gestito da un ente neutrale come la Fondazione Bordoni o direttamente il Mimit che gestisca le banche dati e le certificazioni delle chiamate necessarie al funzionamento del sistema.
A dirlo è
Eugenio Prosperetti, avvocato e professore alla Luiss di diritto dei dati e degli algoritmi, nonché vicepresidente dell’organismo di monitoraggio del codice di condotta del telemarketing istituito dal Garante Privacy.
In gioco c’è un settore, quello del telemarketing e quindi dei call center, da circa 3 miliardi di pil e 80mila addetti, inficiato dalle chiamate false delle imprese estere scorrette. Sul tema del telemarketing selvaggio l'Agcom ha avviato, e concluso, una consultazione pubblica per introdurre nuove regole dirette a contrastare le frodi che prevedono la cooperazione, nell'ambito di un tavolo tecnico, degli operatori di tlc per definire le misure tecniche di blocco.
Oggi, prosegue Prosperetti, il sistema italiano “è molto avanzato, con un registro delle opposizioni, con un codice di condotta approvato dal Garante della Privacy, con un organismo di monitoraggio di cui sono vicepresidente che vigila su questo codice. E’ falsa la rappresentazione secondo cui l’Italia avrebbe meno tutele di altri Paesi, è il Paese dove in questo settore il consumatore è maggiormente protetto. Un quadro molto complesso e a cui si aggiunge il fatto che ora ci sono alcune proposte di legge in Parlamento che vorrebbero aumentare le sanzioni, aggiungere obblighi di adesione al codice di condotta, istituire ulteriori registri di blocco delle chiamate. Tutto questo non funziona, ed è sotto gli occhi di tutti, perché stiamo rafforzando il ‘cancello’ di ingresso al parco – spiega usando una metafora –, rendendolo più alto, spesso e blindato per una situazione dove non c’è una recinzione esterna che impedisce a chi non è autorizzato di entrare nel parco”.
Oggi infatti le chiamate telefoniche possono facilmente arrivare con numero falso, magari da un altro Paese, come la Tunisia o l’Albania, solo per fare degli esempi. “Un numero – prosegue Prosperetti - che è difficile da rintracciare, ci vuole una rogatoria internazionale, perizie informatiche, costi ingenti da affrontare. Chi fa chiamate con il numero falso e non richiamabile non viene rintracciato e può farsi beffe di tutti gli obblighi. E’ questo il motivo per cui si ricevono tutte queste chiamate, alcune anche fraudolente, non rispettose del registro delle opposizioni. Secondo il Garante della privacy circa il 90% delle segnalazioni che riceve sul telemarketing riguardano chiamate che arrivano con un numero falso”.
La soluzione inizia dunque, secondo Prosperetti, “con la modifica del Codice delle Comunicazioni che ha dato all’Agcom i poteri di imporre agli operatori la verifica e il blocco delle chiamate con numero falso. Una soluzione tecnica serve, dunque, per costruire la ‘recinzione’ che manca. Un passo avanti che non servirebbe solo per il telemarketing ma che è anche una questione di sicurezza nazionale perché nel momento in cui si può impostare il numero di una chiamata e farla sembrare partita dal territorio nazionale e anche da un specifica utenza, si abilitano truffe bancarie, agli anziani, atti criminali”.
Lato operatori di tlc, nota Prosperetti, “inibire una comunicazione telefonica è una cosa seria e serve avere l’obbligo di legge per farlo. Per questo bisogna intervenire ricorrendo al protocollo internazionale tecnico che si chiama Stir/Shaken, già adottato in Francia, negli Stati Uniti, in Canada e in altri Paesi. Con questo sistema, fornito anche dall’italiana Italtel a operatori francesi e tedeschi, si è in grado di verificare, prima che la chiamata arrivi all’utente, se le informazioni di chiamata comprendono una sorta di ‘firma digitale’, nella quale l’operatore di provenienza cripta il numero del chiamante. Se il numero del chiamante risulta ‘certificato’ allora la chiamata va avanti, altrimenti viene sospesa o bloccata”. Questo sistema tuttavia, da solo non basta, "perché ci sono molti operatori, specie all’estero, che non certificano le chiamate e, magari, instradano chiamate mobili da utenti italiani in roaming. Allo stato un operatore italiano non può sapere se la chiamata con prefisso mobile arriva da un truffatore o da un vero utente italiano che sta all’estero con il proprio cellulare. Serve allora affiancarlo con un sistema di controllo di database condivisi. Database che dovrebbero essere messi sotto il controllo di un ente indipendente perché si tratta di dati molto delicati".
Un altro aspetto fondamentale è, infine, rappresentato da chi gestisce questo sistema. “Potrebbe essere la Fondazione Bordoni o lo stesso Mimit, ma comunque un'entità neutra che abbia la fiducia degli operatori perché le imprese devono dare in mano all’organismo prescelto dati per loro commercialmente sensibili. Questo sistema dovrebbe riportare la fiducia sul comparto del telemarketing, seriamente a rischio per le chiamate false. D’altronde le imprese nazionali sono le prime a lamentarsi se qualcuno chiama con il numero falso, perché provocano un danno notevole alla loro credibilità”, conclude l'avvocato.
(RADIOCOR)
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