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AL BAR DEL TETTO ROSSO
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Articolo di Annapaola Laldi
1 marzo 2006 0:00
 
"Perche' non gli dai un nome che fa un po' piu' presa?", chiede l'uomo. La donna aggrotta la fronte, in un silenzio critico.
"Che so?", prosegue lui facendo vista di niente, "Un bel "Zum roten Dach" ci starebbe bene. Sai, richiamerebbe lo "Zum weissen Roesslein", "Al cavallino bianco" dell'operetta. Oppure, "The red roof", che ne dici?.....Beh, si' l'inglese e' scontato. Scontatissimo", si affretta a concludere incontrando il sorriso di compassione dell'amica. Che scuote la testa e alza le spalle come se fosse uno spreco consumare il fiato per rispondere. Ma poi cambia idea.
"Ma che vuoi", gli spiega, "la clientela e' quella che e'. Le parole non dicono niente. L'importante e' il servizio.E poi siamo in Italia, e quella cosa che copre une edificio, piccolo o grande che sia, nella nostra lingua si chiama "tetto". No, "Al tetto rosso" va piu' che bene".
"Contenta tu.", conviene l'amico", e aggiunge prontamente,".e i tuoi clienti.".

Si'. "Bar del tetto rosso" e' proprio il nome giusto per questo locale un po' particolare che ne richiama un altro, di tanto tempo fa. Perche' la signora e' figlia d'arte, o meglio, nipote d'arte. Era bambina quando la nonna aveva messo su qualcosa di analogo, che aveva a che vedere sempre con un tetto osso -del resto siamo in Toscana e qui i tetti, di regola, sono rossi. Ma quello a cui si riferiva il locale della nonna era un tetto piu' serio, se cosi' si puo' dire; un tetto a due spioventi, col suo colmo ricoperto da quelle belle tegole a forma di mezzo tronco di cono che si chiamano coppi. E coppi ce n'erano pure a unire ogni coppia di embrici, quelli classici coi bordi rialzati, sia per fermarli sia per impedire all'acqua di filtrare all'interno, dato che in passato di impermeabilizzazione non se ne parlava. Insomma, era proprio un bel tetto, d'un rosso ormai incupito e consumato perche' gia' allora di anni ne doveva avere, e tanti, ma proprio tanti.
No, questo di cui si parla qui, e', senza offesa, un tettucolo molto piu' recente, a un solo spiovente, fatto di soli embrici, quelli che si chiamano "marsigliesi e che sono, per cosi' dire, autobloccanti -pero' sotto c'e' l'impermeabilizzazione, perbacco! E questi embrici sono di due sfumature di rosso; una piu' scura e sbiadita, con gia' sopra qualche formazione di licheni e borraccina a suggerire la sua esposizione a nord, e un'altra piu' chiara e ancora brillante che tradisce la costruzione successiva e abusiva (rigorosamente condonata, pero'!) dell'ultimo dei garage.
Questo per quanto riguarda il riferimento al tetto.

Ma una differenza c'e' anche sul tipo di servizio erogato e sulla clientela.
Quello della nonna dell'attuale gestora del "Bar del tetto rosso", non era un bar, ma piuttosto una trattoria. Orario di apertura fra mezzogiorno e mezzo e l'una, per tutto l'anno -difficile che andasse in ferie-, zona centrale di una piccola citta' con molto passo, avventori in attesa gia' una mezz'ora prima, il che permetteva un interessante studio di psicologia comportamentale: vi erano quelli che aspettavano tranquilli al loro posto, e quelli che invece si agitavano, facevano chiasso e andavano avanti e indietro, soprattutto, sembrava, per pavoneggiarsi davanti alle ragazze che, di solito, apparivano un po' seccate e prendevano le distanze da queste esibizioni fra il buffo e il gradasso. Pero' alcuni di questi giovanotti potevano considerarsi dei bei fusti, abbigliati anche con gusto soprattutto per quella specie di fazzoletti dai colori cangianti, che portavano al collo.
E il menu? Molto semplice, ma con una variazione: zuppa fumante nei rigori invernali, una sorta di "panzanella" per l'estate. Tutto qui? Si', tutto qui, ma praticamente a volonta'.

Il "Bar al tetto rosso", invece, se si vuole essere precisi fino in fondo, non e' neppure un bar, quanto piuttosto un punto di ristoro stagionale. Perche' il locale funziona solo per la colazione soprattutto in inverno, e, inoltre, apre verso le sette e mezzo, il che, ammettiamolo, e' un'ora un po' tarda per questo tipo di servizio.
Ma, nonostante queste innegabili pecche, i suoi avventori sono molto affezionati ed evidentemente si passano parola, perche' di tanto in tanto ne capitano piu' del previsto. Ma, anche in questo caso, la loro caratteristica costante e' una grande pazienza e discrezione. A differenza di quelli della trattoria di tanti anni fa, che facevano un grande assembramento e talvolta anche chiasso, questi qui l'apertura l'aspettano nascosti da qualche parte li' nei pressi, e non fanno la minima confusione. Sono di vedetta gia' per tempo, questo si', e lo si vede se, per caso, una mattina, il bar apre alle sette, perche' si materializzano tutti subito. Ma se, fino al momento dell'apertura sembra che non ci sia nessuno, appena la colazione e' servita, accorrono in tanti con soddisfazione e qualche grido di giubilo; e c'e' chi la consuma sul posto un po' in fretta, e chi se la porta via per gustarsela meglio e con calma, e c'e' anche qualche bulletto di periferia, piu' lesto del compagno, che afferra il "pezzo" e lascia l'altro con un palmo di . becco....

Gia', perche' gli avventori del "Bar del tetto rosso" sono i signori passerotti .. e quelli della trattoria di tanti anni fa erano i signori piccioni, sfamare i quali con un pastone di pane bagnato e saggina gettato sul tetto sottostante, a quei tempi non era considerato un quasi reato come sembra sia adesso, che' i piccioni in citta' sono invadenti, e imbrattano dappertutto, e via e via e via..
Ma quando, come adesso, la mente le vola alla citta' dov'e' stata bambina, la signora del "Tetto rosso" non puo' dimenticare gli spazi liberi che ha visto coi suoi occhi -orti, giardini e campi, tanti campi subito a ridosso delle ultime case della citta', quelle che avevano appena osato varcare le antiche mura. Un grande spazio per tutti -umani e animali. Un vasto respiro che ormai e' venuto meno in quella citta', come in tutte le altre, prigioniere di muri di cemento e di nastri d'asfalto.
Ma allora, si chiede lei, mentre getta un pugnello di molliche per accontentare anche gli ultimi clienti ritardatari, chi e' che invade e imbratta davvero: loro, i piccioni, o gli umani?

(A cura di Annapaola Laldi)
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