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Brexit. La storia dimostra che è impossibile
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Articolo di Redazione
20 gennaio 2019 16:23
 
 Quando si parla dei fondatori dell'UE, vengono sempre citati Robert Schumann o Jean Monnet, che hanno persino dato il nome agli edifici ufficiali della Comunità, ma uno dei più importanti è dimenticato: l'inglese Winston Churchill, sebbene abbia anche lui un proprio edificio a Strasburgo. Nel 1946 a Zurigo, l’ex primo ministro conservatore disse che "se l'Europa avesse potuto tutta insieme godere il proprio patrimonio comune, la prosperità e la felicità sarebbero stati ‘no limits’", e questo in un discorso in cui parlò anche di "Stati Uniti d'Europa". Ma prima, all'inizio della seconda guerra mondiale, aveva guidato un'iniziativa ancora più importante dal punto di vista europeo: difendeva il fatto che francesi e inglesi condividessero la stessa nazionalità. La sua idea era basata su principi come la democrazia e la libertà, più potenti di qualsiasi bandiera, lo stesso pensiero che poi ha lanciato l'Unione.
Tuttavia, Winston Churchill , politico conservatore è anche un simbolo della distanza che alcuni britannici vogliono rimarcare con il continente, un’idea difesa da ampi settori della società che sono lontani dal resto degli europei. Non è un caso che i film sulla figura di Churchill, o sul ritiro a Dunkerque nel 1940, si siano moltiplicati dopo la Brexit. Il Regno Unito è sempre stato dibattuto tra queste due anime: l'immagine che vuole costruire se stessa come un Paese, con la nebbia nel canale che isola il continente, e la realtà lampante che mostra come, piaccia o meno ai sostenitori della Brexit, il Regno Unito come parte inseparabile dell'Europa.
Nessun Paese è un'isola, nemmeno quelli che lo possono essere geograficamente. Come lo storico David Edgerton, autore di “The Rise and Fall of the British Nation”, ha scritto sul quotidiano The Guardian, "nel 1900, il Regno Unito era un posto molto cosmopolita, pieno di immigrati europei. Il cibo arrivava da ogni parte del mondo e il carbone britannico era vitale per le nazioni baltiche e mediterranee, mentre Londra dipendeva dal ferro della Svezia e del Nord Africa, le sue uova e la sua pancetta venivano dalla Danimarca e in Olanda venivano stampati i suoi giornali, con carta scandinava ". Ciò che Edgerton descrive è un'unione prima dell'Unione.
Ci sono sempre stati europeisti, molti di più nel partito laburista, e antieuropei, specialmente tra i conservatori e tra i potenti tabloid: The Sun e The Daily Mail hanno fatto più di chiunque altro per cercare di tenere il Regno Unito fuori dall'Europa. Ma i confini non sono mai stati segnati solo per ragioni ideologiche e il travaso tra loro è stato costante, come nel caso di Margaret Thatcher. In realtà, fu un primo ministro conservatore, Edward Heath, che firmò il trattato di adesione all'UE, nel 1973, e che fu ratificato a larga maggioranza in un referendum del 1975. Ma tutti, compresi gli europeisti, ci tennero a sottolineare le differenze. I fatti, tuttavia, sono molto più espliciti: il Regno Unito è parte della storia del continente ed è una nazione europea tra le maggiori, non solo da un punto di vista geografico ed economico, ma politico.
Gli inglesi sono stati romanizzati – anche se tutto gli è costato, va detto - e la sua capitale è un retaggio di Roma, tanto da riverire la regina celtica Boudicca, che si ribellò contro le legioni, così come lo si può vedere in un monumento a Wetsminster, il cuore del potere di Londra. I Celti, da cui si nutre uno strano nazionalismo britannico radicato nella preistoria, e ai quali il British Museum ha dedicato una grande mostra quattro anni fa, sono un popolo che cela ancora molti misteri, ma per i quali c'è una certezza: si stabilirono in una parte molto importante dell'Europa nell'età del ferro, comprese le isole britanniche.
Guerra dei Cent'anni
L'Arazzo di Bayeux, che prende il nome della città francese in cui è conservato, racconta la conquista normanna dell'Inghilterra, mentre uno sguardo nella Francia centrale rivela che ci sono così tanti castelli Galli/British, prodotto della Guerra dei Cent'anni, perché i re inglesi controllavano una parte importante del territorio francese. Quando i protestanti francesi, gli ugonotti, fuggirono dalle persecuzioni, si stabilirono in Inghilterra, così come molti rifugiati dalla violenza rivoluzionaria o dai pogrom nell'impero russo. Per non parlare del ruolo cruciale dell'Inghilterra nella sconfitta di Napoleone. Anche Victor Hugo ha scritto “Les miserables” nel territorio di sua Maestà. E, naturalmente, gli inglesi hanno combattuto nelle due guerre mondiali del XX secolo e migliaia di loro soldati, un'intera generazione, sono sepolti nei campi delle Fiandre.
La Spagna ospita una delle prove più indiscutibili delle profonde relazioni britanniche con il resto dell'Europa: la Rocca di Gibilterra, che conquistò con il trattato di Utrecht e resistette a diversi assedi durante il diciottesimo secolo. Non così con Minorca, che era anche britannica, ma fu ripresa dagli spagnoli. Lo storico britannico John Julius Norwich, morto da poco, racconta nel suo saggio “Il Mediterraneo”, che re Giorgio III non era rimasto molto contento di questo cambiamento e che lo scrisse in una lettera: "Mi sarebbero piaciute di più Minorca, le due Floride e Guadalupe, che è una fortezza importante, ma a mio parere questa sarebbe stato fonte di un'altra guerra, o almeno di costante inimicizia". Sapeva già allora, come ora, che il posto del Regno Unito era nel mondo e, soprattutto, con il resto delle nazioni europee con cui, allora come adesso, era obbligato a capire se stesso.

(articolo di Guillermo Altares, pubblicato sul quotidiano El Pais del 20/01/2019)
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