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Disegnare la nuova politica sugli stupefacenti
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Articolo di Giorgio Gatti *
13 febbraio 2014 9:39
 
 La bocciatura, da parte della consulta, del decreto Fini-Giovanardi per incostituzionalità, porta l' Italia al 1993. La popolazione, nel mondo, era sensibile alle politiche in materia di stupefacenti; si usciva dall' epidemia mondiale dell' eroina, di cui i media erano pieni le pagine.
Dal 1993 in Italia, si passa al 1996 in California, dove venne legalizzato l'uso medico diella cannabis. Da allora gli Stati Uniti iniziarono ad approvare leggi per l' impiego della cannabis nella terapia del dolore neuropatico. Il 2013 è stato l'anno della svolta; due stati Americani (il Colorado e Washington) hanno legalizzato l' uso per scopi ricreativi della cannabis, la sua coltivazione e la sua distribuzione, al pari di alcolici e tabacchi, ritenendo superato l'approccio proibizionista.
Da questa evoluzione pragmatica e concreta nel confrontarsi con la diffusione della cannabis, l' Italia è rimasta fuori. Perchè?
Il ruolo della politica, nell'impiego e sviluppo di nuove strategie nel contrastare la crescita del mercato della cannabis è stato dannoso, perchè guidato dalla "disapprovazione" sociale. E' così, che per uno strano contrappasso, la società abbia iniziato a "disapprovare" il DPA (Dipartimento per la "Propaganda" Antidroga).

Il fallimento di questo organismo è eclatante. Alcuni "risultati":
- aumento della percentuale dei tossicodipendenti in carcere;
- aumento della diffusione di cannabis tra gli adolescenti;
- il traffico di stupefacenti illegali è la maggiore fonte di finanziamento della criminalità organizzata in Europa.

Chiunque, per i prossimi vent'anni di governo, si impegnerà nello sforzo di ridurre la diffusione di stupefacenti, dovrà necessariamente ridisegnare il DPA.
Il futuro di questo organismo, dovrà aprire ad un dibattito serio e lontano dalle ideologie che hanno guidato sino ad oggi il DPA.
Il nuovo "Dipartimento per la Cura , Prevenzione e Trattamento delle Dipendenze" dovrà suggerire indicazioni sulle policy da intraprendere, alla luce degli studi internazionali in termini di costi e benefici per la società e contribuire alla crescita della società e delle conoscenze scientifiche in materia.
Un esempio concretamente realizzabile, è il progetto avanzato da Silvio Viale, radicale eletto nelle file del PD nel consiglio comunale di Torino che, anche nel recente incontro pubblico tenutosi a Parma sulla legalizzazione della cannabis in Italia, ha avanzato la proposta di coltivare cannabis per scopi farmaceutici presso l’Istituto Bonafous di Torino.
La via tracciata dalle politiche a livello internazionale sulla diminuzione della domanda e di offerta di cannabis, sono antiproibizioniste: l'Italia ha solo una via. Smantellare il DPA, ottenere le dimissioni di Giovanni Serpelloni e la regolamentazione della cannabis.
Le voci politiche levatesi in coro a favore di politiche più tolleranti sono trasversali. Se c'è un argomento sul quale qualsiasi governo può trovare la maggioranza, quell'argomento e la regolamentazione della cannabis.

Dr. Giorgio Gatti, consulente in sviluppo economico ed economia della sicurezza pubblica
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