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IL DOLORE
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Articolo di Annapaola Laldi
1 giugno 2007 0:00
 
Da quando, una quindicina di anni fa, ho cambiato casa, l'inizio di questo mese trionfante che è giugno è accompagnato da una venatura di tristezza. Ne sono causa ignara i numerosi melograni sparsi per i giardini del vicinato, che, tra il verde intenso del fogliame, offrono proprio ora la sorpresa dei loro "bei vermigli fior". Uno spettacolo splendido come solo la prodigalità della natura può offrire, che però, a me, immediatamente, richiama il dolore e la morte. Il dolore per la morte. Il dolore forse più immenso per la morte forse più crudele che l'essere umano conosca. Il dolore di un genitore per la morte di una sua creatura piccola.
Qualunque melograno che io scorga nel tripudio della sua fioritura, è, infatti, nella mia mente, uno solo: "il verde melograno da' bei vermigli fior" della poesia che sgorgò dal cuore del trentaseienne Giosuè Carducci, nel ricordo del figlioletto Dante morto alcuni mesi prima, a poco più di tre anni.
Così, ogni volta, quei versi appresi forse cinquant'anni fa mi tornano nitidi e intatti alla memoria, starei per dire "inspiegabilmente", se non fosse che proprio adesso mi rendo conto di come sia stato precoce e profondo per me l'incontro con persone che hanno avuto la sorte di rinnovare per esperienza diretta questo pianto antico dell'umanità, a cui accenna il poeta nel titolo della poesia. Persone, per le quali, la vita si è come arrestata all'istante di quella morte, anche se tale arresto è (stato) vissuto esteriormente in modo molto diverso -dalla manifestazione più assoluta del lutto alla più totale apparenza di normalità, che è la condizione espressa da un altro poeta ugualmente toccato da questo dolore, e cioè Giuseppe Ungaretti.
Mi accorgo, anche, mentre scrivo, che tale persistenza nella memoria dei versi di Carducci può significare pure una mia deferente partecipazione a questo dolore che continua a intridere l'umanità in ogni istante, e, in certe parti della terra (anche più vicine a noi di quanto si creda), in un modo se possibile ancora più crudele e ingiusto, perché tanto ma tanto di quel pianto potrebbe essere evitato da una seria assunzione di responsabilità di ciascuno di noi verso noi stessi, le altre persone, il mondo nel suo complesso.

Ecco dunque, senza ulteriori commenti, la poesia di Giosuè Carducci e tre dei diciassette "squarci", che Giuseppe Ungaretti scrisse dopo la morte del figlio Antonietto di nove anni, avvenuta nel 1939.

GIOSUE' CARDUCCI

Pianto antico (1871)

L'albero a cui tendevi
La pargoletta mano,
Il verde melograno
Da' bei vermigli fior,

Nel muto orto solingo
Rinverdì tutto or ora,
E giugno lo ristora
Di luce e di calor.

Tu fior de la mia pianta
Percossa e inaridita,
Tu de l'inutil vita
Estremo unico fior,

Sei ne la terra fredda,
Sei ne la terra negra;
Né il sol più ti rallegra
Né ti risveglia amor.


GIUSEPPE UNGARETTI

Da: "Giorno per giorno" (1940-1946)

2

Ora potrò baciare solo in sogno
Le fiduciose mani .
E discorro, lavoro,
sono appena mutato, temo, fumo .
come si può ch'io regga a tanta notte? .


4

Mai, non saprete mai come m'illumina
L'ombra che mi si pone a lato, timida,
quando non spero più .


8

E t'amo, t'amo, ed è continuo schianto!...



NOTE
1. Il figlioletto di Carducci, Dante, era nato il 21 giugno 1867 e morì il 9 novembre 1870. Il poeta gli aveva imposto il nome di "Dante" non solo in onore del sommo poeta italiano, ma anche in ricordo del fratello Dante morto giovane in circostanze non chiare nel 1857, quando Giosuè aveva 22 anni. Immediatamente dopo la morte del figlio, Carducci dedicò al bambino e al fratello la poesia "Funere mersit acerbo" (1870) (ALLEGATO 1). Il titolo di questa poesia è la prima metà di un verso dell'Eneide di Virgilio (libro VI, 429), che significa: "in morte acerba travolse" (si tratta dei morti in tenera età, che Enea incontra appena entrato nell'Ade).
La poesia Pianto antico fa parte della raccolta "Le rime nuove"; io l'ho ripresa da: Antologia carducciana, Zanichelli, Bologna s.i.d. (ma stampato nel 1921), pag. 85 seg.

2. Il figlio di Ungaretti, Antonietto, morì a nove anni nel 1939, a San Paolo del Brasile, dove il poeta abitava dal 1936, insegnando letteratura italiana nell'università di quella città. I tre componimenti qui trascritti fanno parte della raccolta "Giorno per giorno" (1940-1946) inserita a sua volta nella raccolta "Il dolore" (1937-1946). Io li ho ripresi da GIUSEPPE UNGARETTI, Vita d'un uomo, Mondadori, Milano 1970, pagg. 157-158.

3. Giosuè Carducci nacque a Valdicastello (Pietrasanta) in Versilia il 27 luglio 1835 e morì a Bologna nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 1907. Figlio di un medico, Michele Carducci, in sospetto di appartenere alla Carboneria, trascorse l'infanzia in contrade allora remote della Maremma pisana (Bolgheri, Castagneto e Laiatico). Dopo che il padre fu trasferito a Firenze, nel 1849, Giosuè frequentò lì le scuole degli Scolopi e nel 1853 ottenne un posto gratuito alla Scuola Normale di Pisa dove si laureò in lettere e filosofia nel 1856. Cominciò subito a insegnare nel Ginnasio di San Miniato al Tedesco, ma l'incarico non gli fu confermato perché la sua condotta fu giudicata "immorale e irreligiosa". Nel 1858 tornò a Firenze dove insegnò privatamente e collaborò con la casa editrice Barbera. Gli anni 1857 e 1858 furono anche anni di gravi lutti che segnarono profondamente il poeta; dapprima, in circostanze non chiare, morì il fratello Dante e poi il padre, e così Carducci si dovette fare carico del sostentamento della madre e del fratello minore Valfredo. Nel 1859 si sposò con una cugina, Elvira Menicucci, dalla quale ebbe il figlio Dante (1867-1870), e le figlie Bice, Laura e Libertà. Nel 1860 fu nominato docente al liceo di Pistoia, ma subito dopo ricevette dal ministro Terenzio Mariani la cattedra di "eloquenza (letteratura) italiana" all'università di Bologna, dove insegnò ininterrottamente fino al 1904, quando dovette abbandonare l'insegnamento per gravi motivi di salute. Nel 1906, quando era già vicino alla morte, ricevette, primo fra gli italiani, il Premio Nobel per la Letteratura. Nel corso della sua vita, Carducci si dedicò anche all'attività politica, ma senza grande successo. Nel 1890 era stato nominato senatore del Regno, e dal 1904 gli era stata assegnata una pensione vitalizia, mentre la regina Margherita aveva acquistato la casa del poeta e la sua biblioteca, lasciandogliene l'uso vita natural durante.
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4. Giuseppe Ungaretti nacque da famiglia lucchese a Alessandria d'Egitto il 10 febbraio 1888 e morì a Milano la notte fra il 1 e il 2 giugno 1970. Visse nella città natale sino alla prima giovinezza. Nel 1912 si trasferì a Parigi, dove conobbe e frequentò pittori e letterati, fra i quali Picasso e Apollinaire. Durante la prima guerra mondiale fu al fronte, sul Carso, come soldato semplice di fanteria. E' in questo contesto che pubblica, nel 1916, la prima raccolta di versi ("Il porto sepolto"), nonché, nel 1919, la seconda, "Allegria di naufragi" . Dopo la guerra si dedicò all'insegnamento e al giornalismo. Nel 1933 uscì la terza raccolta, "Il sentimento del tempo", seguita nel corso degli anni da diverse altre, apprezzate in Italia e all'estero. Nel 1936 si trasferì a San Paolo del Brasile per insegnarvi letteratura italiana; lì, nel 1939, morì il figlio di nove anni, Antonietto. Da questa esperienza maturarono molte delle poesie contenute nella raccolta "Il dolore" (1947). Tornato a Roma nel 1942, fu nominato Accademico d'Italia e incaricato dell'insegnamento di letteratura italiana moderna e contemporanea all'università di Roma. Fu autore anche di apprezzate traduzioni da Racine, Shakespeare e altri poeti di altre lingue e culture. All'edizione definitiva delle sue opere egli stesso volle dare il titolo di "Vita d'un uomo". Per ulteriori informazioni sulla biografia e le opere di Ungaretti:
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(a cura di Annapaola Laldi)
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