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Lei non sa chi sono io
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Articolo di Giuseppe Parisi
15 novembre 2006 0:00
 
Qualche tempo addietro mi risaltava agli occhi una news circa la diffusione della cosiddetta "depressione" in Italia. La stima era da bollettino di guerra: quasi il 40% degli adulti sarebbe "affetto" da tale male oscuro. L'analisi, sotto il diretto controllo delle varie associazioni di medici psichiatri, includeva anche i bambini. Tale aumento verticale su scala cartesiana, potrebbe significare anche un parallelo aumento di antidepressivi e benzodiazepine, sia per numero di persone che ne farebbero uso sia per quantitativo di pezzi venduti.
Rimanevo davvero perplesso e mi ritornava agli occhi una scena di un bel film del grandissimo Toto'. Toto era virtuosamente capitato in un vagone letto con l'on. Trombetta che, eletto al Sud Italia, si recava a Montecitorio a Roma. In quell'epoca il disagio probabile sarebbe stato piu' acceso di come potrebbe essere oggi. A ridosso della fine della guerra mondiale, in una sottocultura italiana pervasa ancora dagli esiti postfeudali, ritrovarsi con l'on. Trombetta nello stesso vagone non era vicenda di ogni giorno.
In quell'epoca il "Lei non sa chi sono io." era un segno di appartenenza simile alle gerarchie militari e nobiliari che, in quel quasi recente tempo, non avevano ancora abbandonato il terreno culturale dell'italiano. Le lotte sindacali degli anni 70/80, con quel sindacato forte e presente, sembravano scardinare quella retrocultura borghese. Cosi' accadeva che non ci si chiamava piu' dando del "lei" e la stigmatizzazione era quella di non chiamare per nome ma soltanto per cognome. Quindi io ero Parisi e non Giuseppe anche per il piu' caro amico.
Cosi' per incanto, anche nelle campagne e nell'entroterra la gente si chiamava per cognome, quasi come segno di appartenenza "partigiana" e "sindacale" "operaia". Quando la persona era piu' grandicella, dovendo evitare il "Signor", si rimediava con la medesima cosa in lingua spagnola: "don".
Quando la nostra societa' si frammentava e si burocratizzava al massimo, creando forme di potere e sottopotere, si avevano intrecci tali che imbrogliavano il sistema Paese rendendolo quasi impossibile. E il comune cittadino ne restava vittima, cercando di emergere salendo la scala gerarchica piramidale o creando a sua volta un orto di "potere".
Chi non "contava" faceva ogni fila e si vedeva passare davanti quello che "contava" e non osava chiedere il rispetto dei propri "diritti". Ancora oggi l'italiano si porta dietro tutto un retrobottega culturale e sociale figlio di un vissuto lontano che si perde in quella societa' feudale e nobiliare. Il risultato e' una forma di depressione latente, misconosciuta vittima di una societa' frammentata e non lineare, illiberale e postfeudale, dove il feudo e' il potere espresso sotto ogni forma di appartenenza e di simbolo.
Gli psichiatri ed i medici farebbero bene ad evitare quando possibile assunzioni di antidepressivi. Come farebbe a non essere depresso un italiano?
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