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Articolo di Annapaola Laldi
1 giugno 2005 0:00
 
Parecchio tempo fa, sfogliando un quotidiano locale, mi imbattei in un paio di necrologi che si riferivano alla medesima anziana signora, il cui cognome da ragazza non mi era ignoto. Leggendoli con attenzione, capii che si trattava proprio della persona che mi era venuta subito in mente. In effetti, si trattava della cognata di una collega, che avevo avuto nei primissimi anni d'insegnamento, la quale ogni tanto mi faceva trasecolare accennandomi alle intricatissime parentele che le aveva portato in dote il marito, quarto o quinto figlio di otto tra fratelli e sorelle, nipote di non so quanti zie e zii, cugino di decine di persone, zio, a sua volta di un numero imprecisato di nipoti.... Non so se fosse soltanto una mia impressione, ma talora mi sembrava di avvertire nei racconti della collega una sorta di sottile angoscia, quanto meno un disagio per il controllo sociale operato, quasi fatalmente, da questo esercito di famiglia (serpeggiava, ad esempio, qua e la', una critica per la sua decisione di fermarsi alla prima figlia).
Io, figlia unica di ascendenze sempre numericamente modeste, finivo presto col perdere il filo di queste narrazioni, e mi sorprendevo anche a sentirmi boccheggiare. Meno male che per me la vita aveva provveduto diversamente.
Per quella sorta di curiosita', che so essere diffusa di fronte ai necrologi, mi accinsi a leggere quello piu' importante, e mi resi conto che era stato dettato dai figli e dalle figlie di questa signora, in tutto otto persone. Anche lei, dunque, aveva percorso la via dei propri genitori, in altri tempi e in altri contesti, e forse, proprio per questo -immaginai- con una fatica, se possibile, ancora maggiore. Questa intuizione, se cosi' si puo' chiamare, mi venne confermata pochi righi dopo, in una annotazione originale e toccante, che toglieva ogni senso di routine a quell'annuncio funebre. Figlie e figli, sicuramente intorno o gia' oltre i cinquant'anni, ringraziavano la madre per aver insegnato loro lo "spirito di sacrificio". E mi venne in mente mia madre, perche' anche a lei si sarebbe potuto adattare -eccome!- un simile riconoscimento. Ma proprio per questo mi venne dal cuore un "Oddio!", perche' so di quanto dolore puo' intridersi la vita di chi cresce all'ombra di un tale spirito di sacrificio.

E forse perche' l'eta' avanza, e il tempo si fa breve, mi venne da chiedermi per che cosa a me piacerebbe essere ricordata -non da figli o figlie che non ho, ma da qualcuna di quelle persone parecchio piu' giovani, con le quali la vita mi ha fatto percorrere un pezzo di strada insieme. E mi baleno' che sarebbe bello se potesse dire: mi ha insegnato la gioia.

E' stato in un periodo piu' recente che ho fatto una bella scoperta. Ha a che fare con il poeta Umberto Saba, che ho sempre trovato sorprendentemente vicino anche per certe vicende biografiche. Anche lui ebbe una madre che " tutti sentiva della vita i pesi", ma da piccino aveva avuto per lungo tempo una balia che gli aveva comunicato un'altra immagine della vita. A un certo momento, la madre di Saba, forse gelosa, allontano' questa solida donna slovena con grande dolore del bambino, ma egli continuo' a pensare alla sua balia con nostalgia, e, appena pote', torno' a frequentarla, sentendo la modesta casa di lei come un rifugio dalle tempeste della vita.
La poesia si intitola "Nutrice" e fu inserita nella raccolta "Parole" degli anni 1933-1934. E sono parole che bastano a se stesse -io mi permetto solo di sottolinearne cinque al quart'ultimo rigo.

Nutrice
Guardo, donna, il tuo volto incoronato
di capelli bianchissimi, piu' duro
delle pietraie del tuo Carso, inciso
di rughe, come di solchi la terra.
So che il prodigio a cui m'attendo, un attimo,
scioglie delle tue labbra la minaccia,
quei solchi appiana, gli occhi grigi illumina,
o mia madre di gioia, o tu cui devo
la dorata letizia onde il mio canto
si vena, che una gloria oggi incorona,
che ignori, come i tuoi capelli bianchi.
(da: UMBERTO SABA, Il Canzoniere, Einaudi, Torino 1984 - 6.a edizione-, p. 434).

NOTA
Umberto Saba (prima pseudonimo di Umberto Poli, poi, dal 1928, nome legale del poeta) nacque a Trieste il 9 marzo 1883 e mori' a Gorizia il 25 agosto 1957. Tutta la sua opera poetica e' raccolta in Il Canzoniere. Una guida a esso, scritta in terza persona dal poeta medesimo, e' Storia e cronistoria del Canzoniere, dove, a proposito delle sue poesie, scrive che quasi tutte "sono nate dal bisogno di trovare, poetando, un sollievo alla sua pena; piu' tardi anche da una specie di gratitudine alla vita" (Storia e cronistoria del canzoniere, Mondadori, Milano 1977, p. 27). In particolare sulla poesia "Nutrice" Saba dice che in essa risuonano degli echi dannunziani (anche D'Annunzio ha scritto sulla sua nutrice).
Per altre informazioni sul poeta vedere in questa rubrica al 1 gennaio 2004 "Come un augurio.." (clicca qui)
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