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Democratici contro la democrazia
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Articolo di Redazione
10 settembre 2019 15:36
 
 Gli episodi barocchi della vita politica in Italia e nel Regno Unito portano a un fenomeno piuttosto rassicurante: la sorprendente capacità di resistenza delle istituzioni democratiche all'ondata populista.
In Italia, la Lega di Matteo Salvini, dopo aver giocato la sua vanità in un eccesso di fiducia, si trova fuori del gioco, ridotta al ministero della parola. Se il nuovo governo tiene (non è sicuro ...) e se riesce a governare correttamente, può ridurre per quasi quattro anni l'impotenza del populismo nazionale, sperando in un nuovo accordo nelle elezioni future.
Nel Regno Unito, il Parlamento ha contrastato scrupolosamente la bozza della "hard Brexit" nelle spigolature presentate da Boris Johnson in nome della volontà popolare (interpretata da lui). Votando una legge che obbliga il governo a chiedere un rinvio della Brexit se nel frattempo non viene raggiunto un accordo con l'Unione europea, pone il Primo Ministro in un angolo: o si dimette per rimanere fedele alla sua parola, o lo ignora, ma corre il rischio di essere messo fuorilegge (apparentemente, una tale mossa sarebbe punibile con la prigione).
In entrambi i casi i populisti nazionali chiedono la "dittatura delle élite" e la negazione della sovranità popolare. Qui è necessario un piccolo promemoria sui princìpi. Contrariamente a quanto vorrebbero credere, la democrazia, un sistema più raffinato di quanto sembri e vissuto a lungo dalla storia, non si limita alla sovranità popolare. Implica sia il rispetto per la volontà del popolo sia lo stato di diritto, sancito dalla Legge fondamentale, che può essere modificata solo da maggioranze altamente qualificate. In breve, se per caso la maggioranza decidesse liberamente di stabilire un regime autoritario in questo o quel Paese, non sarebbe più una democrazia, ma una dittatura, sebbene approvata dal popolo. La democrazia protegge le libertà pubbliche e i diritti della minoranza. Anche se questi sono violati abbandonando l’assetto democratico, anche se sarà in seguito alla volontà della maggioranza.
In queste condizioni, la resistenza dei Parlamenti - anch’essi eletti - ai colpi di stato nazionalisti è perfettamente legittima. A condizione, ovviamente, che i deputati tornino a chiedere il consenso degli elettori entro la data di scadenza per consentire loro di risolvere la controversia. Questo sarà il caso nei due Paesi che potranno servire da esempio: al più tardi tra quattro anni in Italia; probabilmente molto presto nel Regno Unito (Johnson e Corbyn sono d’accordo in linea di principio, la disputa ruota attorno alla data esatta delle elezioni).
I populisti nazionali cercano infatti di negare il ruolo dei rappresentanti, degli organi intermedi, a favore di un'adesione diretta, affettiva, spesso sommaria, a un leader che si fa portatore di molte idee semplici. Per loro, qualsiasi ostacolo alla volontà popolare espressa in modo diretto (referendum, elezioni presidenziali) fa parte delle trappole dell'establishment, della "oligarchia", sulla strada radiosa del popolo. Mentre questo desiderio è di per sé ambiguo. Nel Regno Unito, nessuno sa se la gente vuole una "hard Brexit" o un'uscita negoziata con l'Unione, se desidera o meno il ripristino di una frontiera in Irlanda, il principale punto di contesa nella vicenda, ma di cui non si è mai parlato durante la campagna referendaria all'epoca. Solo i rappresentanti eletti, nella fattispecie, possono giungere ad un punto di vista inestricabile su un compromesso accettabile per i partiti, una realtà che i nazional-populisti lasciano nell’ombra per poi inciamparvi per non averla seriamente presa in considerazione.
I populisti nazionali sono orgogliosi di incarnare la volontà diretta del popolo, ma trascorrono il loro tempo a dirottarlo e mascherarlo, nel nome di una democrazia diretta mitica e distorta, mentre la democrazia, come dimostra la storia, non può funzionare senza rappresentanti eletti, senza paziente elaborazione di decisioni e senza compromessi intelligenti.

(articolo di Laurent Joffrin pubblicato sul quotidiano Libération del 10/09/2019)
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