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Italia. Canapa industriale: una legge labile e paralizzante
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Articolo di Benedetta Marziali
3 novembre 2001 19:39
 
L'Italia d'inizio Novecento e' il secondo Paese produttore ed esportatore di canapa al mondo. Le campagne antidroga hanno poi relegato la cannabis nel limbo della proibizione. Negli ultimi tempi, anche in seguito a pressioni e stimoli economici, sociali e culturali sono state formulate nuove considerazioni sulla materia. La legislazione italiana prevede distinzione tra canapa industriale e marijuana, in base alla percentuale di presenza dell'agente psicoattivo, ma i coltivatori sono tuttora costretti a confrontasi con una legge obsoleta e paralizzante. La coltivazione della canapa e' sottoposta ad un iter disegnato sul sospetto: dichiarazione del numero di semi utilizzati, recensione delle piante, illuminazione a giorno, sorveglianza ininterrotta dei campi e, in ultimo, un test finale per verificare che la percentuale di thc presente sia inferiore al tetto previsto.
Tale discriminante e' un parametro sottoposto ad elementi variabili e spesso non condizionabile, pur riuscendo in ottime selezioni. Giampaolo Grassi -direttore dell'Istituto sperimentale per le colture industriali(*)- esordisce: "E' difficile impedire in una pianta la naturale produzione di thc, entrano in gioco non solo le varieta' selezionate, ma anche il sole, l'acqua, il terreno. Inoltre esistono teorie contrastanti anche sui metodi di rilevazione del thc".
La labilita' dei fattori conduce a casi di procedimenti penali come quelli che hanno coinvolto alcuni agricoltori, rischiando pene destinate a chi traffichi in stupefacenti. Attualmente 60 aziende italiane dichiarano di coltivare canapa.

(*)Ministero dell'Agricoltura
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