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Matrimonio senza lo sposo. Come le donne turche oppongono resistenza alle rappresaglie dei maschi potenti
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Articolo di Redazione
24 aprile 2018 12:44
 
 Essere donna in Turchia è una cosa difficile. Da un lato, la pressione della tradizione familiare vecchia di secoli, dall’altro, un governo che vede soprattutto le donne come madri e prescrive loro quanti figli/e avere, come vestirsi, dove avere il permesso di ridere. E’ in queste condizioni che le donne lottano per i loro diritti.
Di recente il governo ha mostrato ad altissimo livello il suo volto maschile discriminatorio verso le donne. In Parlamento doveva andare in scena un lavoro teatrale sullo “spirito dei martiri”. Gli attori del teatro di stato avevano provato per giorni e giorni, un’ora prima della recita furono informati: “Le attrici non possono recitare”. Dietro le scene le donne scoppiarono a piangere. Immediatamente prima dell’inizio il presidente del parlamento, l’islamista noto per la sua asserzione “Il laicismo non dovrebbe stare nella Costituzione”, si accertò presso gli attori maschi: “Le donne non recitano, vero? Bravi!”. Fu chiaro: il divieto veniva da lui.
Questo non è stato il primo attacco contro le donne e probabilmente non sarà l’ultimo. La misoginia sul piano governativo sprona gli uomini conservatori. Una guardia privata in un parco del centro di Istanbul disse a una ragazza in short: “Non permetto che tu vada in giro nel parco conciata in questo modo”. Un uomo dette un ceffone a una ragazza sull’autobus, perché trovava eccitante il suo decolté. Ad Alanya, in pieno giorno, due poliziotti gettarono a terra una donna e la bastonarono, i passanti si limitarono a guardare. La maggior parte degli aggressori se la cava impunemente. Le donne vengono spinte a portare il foulard o a restare in casa, per sottrarsi alle voglie degli uomini. E a occupare la posizione di presidente dello stato è Erdogan, il quale certifica che le donne senza figli sono “difettose” e afferma: “Considerare uguali uomo e donna contraddice la natura”.
Secondo i dati forniti dall’organizzazione “Fermiamo i femminicidi”, l’anno scorso sono state 409 le donne assassinate da uomini. Cinque anni fa si contavano 237 vittime, due anni fa 328. Stiamo parlando di un Paese, in cui contraddizione può equivalere a morte.
Ma, fermi tutti! Questo scenario triste ha un lato che dà motivo di speranza: malgrado tutte le rappresaglie le donne si difendono con fermezza. Persone scottate lottano sul campo minato a costo della vita per i propri diritti. Alcuni pensano che proprio qui risieda un motivo dell’aumento della violenza.
Subito dopo il divieto misogino del presidente del parlamento, cento donne di teatro sono insorte col messaggio “Noi siamo dappertutto, noi siamo sulla scena!” e hanno annunciato: “Abbiamo giurato di cacciare la violenza da questo Paese”. Per la giornata della donna, l’otto marzo, si è tenuta la più grande manifestazione degli ultimi anni con la parola d’ordine: “Non stiamo zitte, non abbiamo paura, non siamo ubbidienti!”.
La settimana scorsa, a una festa di nozze a Diyarbakir lo sposo è stato arrestato al suo ingresso nella sala per “offesa al presidente dello stato”. Che cosa ha fatto la sposa, quando l’uomo, che lei voleva sposare un’ora dopo, è andato in prigione? Ha deciso di celebrare il matrimonio senza lo sposo. Gli invitasti sono entrati nella sala. La giacca dello sposo è stata appesa alla spalliera della sedia al posto dello sposo. “Volevano rovinare il nostro giorno più felice, ma noi ci siamo felicemente difesi”, ha detto la sposa. Ridere quando l’umore è depresso può essere una splendida protesta.
Come il coraggio femminile possa cambiare il destino di una persona, l’ho sperimentato direttamente quando mia moglie si gettò sull’attentatore che aveva sparato su di me. Con la loro resistenza le donne cambieranno, insieme col proprio destino, anche quello dei loro Paesi.

(Articolo di Can Dündar, pubblicato su Die Zeit n. 16/2018 del 12 aprile 2018)
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