Unione Europea e Nuova Zelanda hanno concluso i negoziati per un accordo commerciale. Secondo le stime, gli scambi commerciali aumenteranno fino al 30%: le esportazioni annuali Ue potrebbero crescere fino a 4,5 miliardi di euro. L'accordo promette di tagliare circa 140 milioni di euro all'anno di dazi per le società europee.
Questo è uno dei vantaggi di ragionare avendo a disposizione un mercato di circa 450 milioni di consumatori (1), ed uno dei motivi per cui, oltre ai noti aspetti di sicurezza e ricchezza, c’è la fila tra chi vuole far parte dell’Ue.
Nello specifico, oltre l’immaginario popolare che collega la Nuova Zelanda essenzialmente ai kiwi (2), si tratta solo marginalmente di questi agrumi (3). Da questo paese importiamo pellami, lana, carni e frutta; mentre vi esportiamo automobili, trattori, ricambi vari, idraulica, elettrodomestici, farmaci, alimenti e calzature (4).
I vantaggi per consumatori e produttori sono innegabili, visto che le quantità hanno forte incidenza sui prezzi e, infatti, già oggi, al supermercato non ci sono differenze di prezzo (5) se acquistiamo kiwi, per esempio, calabresi o neozelandesi.
Tutto questo indica che l’economia globale che abbiamo messo in movimento nei decenni passati, continua e si rafforza. Economia che ci consente di avere prezzi e prodotti altrimenti irraggiungibili o riservati solo a nicchie di mercato e di non dover soffrire per temporanee o croniche problematiche territoriali.
1 – ci viene in mente il “grande accordo nazionale” 2019 del governo Conte, autore l’allora vice-premier Di Maio, sulla cosiddetta via della seta, per l’esportazione di arance in Cina, esportazione che
ad un anno dall’accordo aveva visto esportazioni per 162.460 euro, mentre la Spagna, nello steso periodo, senza fanfare mediatiche come le nostre, aveva esportato per 32 milioni di euro.
2 – a livello popolare gli abitanti della terra ai nostri antipodi vengono per l’appunto chiamati kiwi.
3 - di cui l’Italia è il primo produttore mondiale con 410 tonnellate annue e, nonostante questo, ne importa il 50% del fabbisogno.
4 –
dati italiani
5 – di qualità invece, le differenze ci sono, e non si tratta di meglio o peggio, ma diversità
Qui un interessante ed esaustivo articolo in merito de Linkiesta
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