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Monty Python a Downing Street
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Articolo di Redazione
1 ottobre 2018 19:45
 
 Lo scenario assurdo della Brexit continua a districarsi secondo modi ben conosciuti del tipico “nonsense” britannico. Dopo aver deciso di abbandonale l’Unione Europea (UE), il Regno Unito è come un pollo -o un leone, all’occorrenza- che ha trovato un coltello. La vita politica va avanti come un film dei Monty Python [ndr. Gruppo comico britannico pluridecorato], la vita politica è un’amara pozione che il malato infligge su se stesso, la vita diplomatica sembra un romanzo burlesco.
Il primo ministro, Theresa May, una sorta di zombie politico che nessuno riesce ad uccidere, sta dando battaglia in questi giorni al congresso del suo partito. Sta tentando di limitare gli effetti negativi della decisione: è vero comunque che lei aveva sostenuto il “remain” prima di cambiare casacca davanti al risultato del voto. Il piano che lei propone consiste nel chiedere per la Gran Bretagna il burro e i soldi del burro. Si scontra con il semplice buon senso di altri europei, che sono riluttanti ad accettare un mercato doppato. Le esportazioni britanniche vanno per la metà verso l’UE: ristabilire le tasse doganali costerà senza dubbio all’economia di più rispetto al totale dei vantaggi che potrebbe ricavare da una migliore protezione. Il dossier sulla frontiera irlandese è un rompicapo inestricabile. Londra può recuperare qualcosa come 40 miliardi smettendo di contribuire all’UE, ma un think-tank specializzato ha calcolato che la Brexit al netto costerà di più. Dopo aver inondato la campagna del referendum di bugie grosse come le stesse, i sostenitori della Brexit continuano ad oltranza. Il ministro degli Affari Esteri, ultimo esempio di questi ultimi giorni, compara l’Unione Europea all’Unione Sovietica, affermazione che ha attirato una risposta sarcastica da parte dell’ambasciatrice della Lituania che, proprio lei, è in grado di individuare bene la differenza. Boris Johnson, una sorta di Trump coi capelli disordinati, perora una “hard Brexit” che fa paura a tutto il mondo, cercando soprattutto di prendere il posto di Theresa May. I laburisti sono anche molto deconcentrati: i loro militanti sono in maggioranza euroscettici, ma i sindacati si stanno impegnando per far capire che una rottura netta con l’Europa nuoce gravemente alla classe operaia. Essi stanno chiedendo un referendum supplementare per ammortizzare lo shock.
In breve, la Brexit non è una liberazione, ma un pandemonio.
Contrariamente a ciò che dicono alcuni “eurolâtres” [ndr persone eccessivamente entusiaste, e senza senso critico, della costruzione europea], la Gran Bretagna non affonderà nella Manica a causa della Brexit. Essa si rimetterà necessariamente in sesto. Il popolo che ha resistito al blitz hitleriano sopravviverà alla Brexit. Ma quanta perdita di tempo! Si presenterà una vittoria che non sarebbe stata molto diversa nel lungo periodo se la Gran Bretagna fosse rimasta nell'Unione. Tutto questo per un risultato del genere. Occorre soprattutto evidenziare un paradosso che dovrebbe far riflettere tutti gli anti-europeisti di sinistra. Le classi popolari inglesi hanno votato contro l’Europa perché loro domandavano maggiore protezione. Ma coloro che sono per una “hard Brexit” hanno intenzione di instaurare un regime di libero scambio globale, che presuppone una nuova liberalizzazione dell’economia britannica. Per scappare dall’Europa liberale, gli operai britannici hanno innescato un processo che renderà la Gran Bretagna ancora più liberale. E non è la più piccola bugia dei “brexisti”.

(articolo di Laurent Joffrin, pubblicato sul quotidiano Libération del 01/10/2018)
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