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Psichedelici nel fine vita. Possibile?
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Articolo di Claudia Moretti
17 maggio 2023 17:01
 
 Ogni riflessione giuridica sulle terapie psichedeliche sembrerebbe, nel nostro Paese, di rapida e pronta soluzione: non si può. Un muro di proibizioni e di tabellazioni rendono ad primo sguardo impensabile un approccio nuovo agli psichedelici. Non v'è dubbio del resto, che le sostanze psichedeliche portino su di sé lo stigma di un passato di controcultura recente e difficile da dimenticare. Tanto difficile, che - volutamente?- si ignorano, le vicende che hanno preceduto il momento della proibizione, le molte ricerche di laboratorio avviate negli anni '50-'60, le prime promettenti applicazioni terapeutiche, i primi incoraggianti risultati scientifici che già allora avevano convinto medici, chimici, ricercatori, delle potenzialità dell'utilizzo delle molecole in questione.

Poi però i noti eventi, gli anni '70, la proibizione, la lotta generalizzata “alle droghe”, lo stigma culturale e, ahinoi, la fine dei programmi di ricerca. La tabellazione, inesorabile ed internazionale le ha qualificate sostanze di possibile abuso, e – soprattutto – proibite in quanto psicotrope o allucinogene.
Eppure negli ultimi anni sono in aumento vertiginoso gli articoli scientifici che riaprono il dibattito, tecnico-scientifico, sul fronte delle terapie del fine vita e della salute mentale, proprio su quelle sostanze così vituperate. E non mancano i Paesi che, fidandosi ed affidandosi alla scienza, offrono ai cittadini i frutti delle prime (o meglio delle prime di questa nuova stagione) ricerche ed applicazioni, inserendo psilocibina ed altre sostanze, in appositi protocolli sperimentali e non solo, i veri e propri percorsi terapeutici. Il Canada, ad esempio, ha recentemente introdotto l'uso di terapie psichedeliche nei trattamenti della depressione farmaco-resistente, come cura compassionevole.

E da noi? Possibile ipotizzare l'introduzione di altrettante possibilità terapeutiche? E se sì attraverso quali percorsi? Con quali riferimenti normativi?
In Italia, proprio quella normativa che proibisce (la legge 309/90), contiene altresì quelle “crepe”, quelle eccezioni alla regola, dalli quali partono le possibilità terapeutiche di cui sopra.

Crepe che si sono aperte negli ultimi anni, avviate dalle conquiste sul fine vita e che sono tradotte in affermazioni di diritti nuovi, in particolare di tre diritti, istanze richieste:
1. il diritto di scegliere sul proprio fine vita, sul quando morire, a fronte eventi morbosi dagli esiti infausti. A fronte di un immaturo dibattito che vedeva contrapposti il vivere (accollandosi il destino terapeutico, anche quando eccessivo, proposto dai medici) o morire (accelerando il processo della morte perché doloroso,o non dignitoso). Se ne è sostituito un altro più ampio, più maturo, che prende le mosse dalle numerose possibilità mediche scientifiche che si sono via via affinate, sul come vivere il tempo della propria morte e su come accompagnare il morente prima dell'evento, resistendo alla tentazione di accelerare la sua o la propria fine. Di qui le evoluzioni, prima di disobbedienza civile, poi di affermazione giurisprudenziale, infine introdotte a pieno titolo nel diritto vigente, in materia di testamento biologico fino all'aiuto al suicidio, e in materia di “cure palliative” (L.219/2027), ossia cure attive che non mirino, in via diretta, a sconfiggere l'incurabile malattia, ma che affianchino il malato e la sua famiglia con interventi psicologici, farmacologici, di sostegno e rete sociosanitaria, di assistenza integrata e multidisciplinare. Con l'obiettivo di accompagnare ad una morte migliore possibile, con tutto ciò che per ciascuno di noi ciò significhi.
2. Il diritto di liberarsi dalla sofferenza, per quanto possibile. Ed è la riflessione sulla sofferenza e sul dolore che ha consentito l'introduzione di protocolli di dolce morte, si pensi alla sedazione profonda, sempre nel fine vita, e l'accesso a medicinali previsti per la terapia del dolore, medicinali contenenti principi attivi altrimenti proibiti. Si pensi ad esempio all'uso di oppiacei, di derivati della coca, della cannabis. La terapia del dolore ha trovato accoglimento anche nella medesima legge 309/90 sugli stupefacenti, la stessa che ne prevede la tabellazione e la proibizione, mediante l'importante allegato (allegato 3 e 3 bis alla tabella). Quando le terapie psichedeliche diverranno farmaci, o prodotti industriali ad assi assimilabili, potranno ben trovare stazio proprio in queste tabelle, di utilizzo “speciale” rispetto alla generale proibizione. Non occorrerà cioè una legge, una scelta di un legislatore, ma una scelta tecnico-scientifica. Occorrerà, cioè, un Decreto Ministeriale, non un dibattito parlamentare esposto alle influenze mediatiche che tutti conosciamo. Oltre ad una casa farmaceutica (anche estera) che abbia superato vittoriosamente il traguardo per l'accesso ai mercati.
3. Il diritto a sperare in una terapia non ancora approvata, mediante l'utilizzo delle strette maglie delle cure compassionevoli. Ed è qui le terapie psichedeliche possono trovare fin d'ora spazio, in attesa che il resto del mondo ci fornisca farmaci psichedelici validati e commercializzati.
E' l'alleanza terapeutica medico e paziente, ne porti avanti buone e fondate ragioni terapeutiche, di fronte ai Comitati Etici, all'Aifa e nei contesti e tavoli medico-scientifici Ministeriali e non. Le cure compassionevoli trovano la loro fonte giuridica nelle normative europee e nelle applicazioni italiane (Reg. UE 726/2004 e DM 7 settembre 2017) e prevedono l'iniziativa di medici e pazienti convinti di poter trarre beneficio dall'uso di prodotti per quella specifica patologia, non ancora, appunto, farmacologicamente approvata.
Si tratta di percorsi impegnativi e di frontiera, dalle numerose difficoltà pratiche, ma possibili e legalmente protetti.
L'affermazione negli ultimi vent'anni dei diritti di scelta sul fine vita, del diritto a non soffrire o soffrire il meno possibile, e del diritto a sperare (right to try) in terapie sperimentali, hanno aperto, in diritto appunto, la strada a queste nuova realtà di cura. Adesso tocca al coraggio delle prime linee, medici, pazienti, scienziati e ricercatori, e legali se del caso, farli divenire realtà.
 
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