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Per una rinascita laica dell'Europa
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Articolo di Redazione
27 dicembre 2010 13:52
 
Per la fine dell'anno, Presseurop ha chiesto a dieci intellettuali europei di esprime la loro visione dell'Europa. Nel secondo articolo della serie, il filosofo spagnolo Fernando Savater spiega che, a fronte di una confusione politica, sociale e religiosa che attraversa l'Europa, e' necessario un nuovo spirito, aperto ai talenti, alle idee e alle convinzioni.
In una delle due opere piu' sorprendenti e divertenti di Rossini, “Il viaggio a Reims”, cittadini di ogni Paese d'Europa, desiderosi di andare nella citta' storica per un'importante celebrazione principesca, si ritrovano bloccati in un albergo e forzati a coabitare per mancanza di cavalli per proseguire il loro viaggio.
Io trovo che questo libretto e' un'eccellente metafora “ante litteram” della confusione nella quale l'Unione Europea si trova oggi. I Paesi europei non hanno altre soluzioni che restare insieme per molti aspetti essenziali, sociali, culturali ed economici, ma sembrano incapaci di andare piu' lontano e di avanzare verso obiettivi piu' ambiziosi ma non meno necessari per il lungo termine. Apparentemente gli mancano questi cavalli indispensabili che sono i progetti comuni -e non semplicemente sussidiari- e convinzioni e valori democraticamente condivisi.
Le nomine alle piu' importanti funzioni dell'Ue dimostrano che gli Stati non sono disponibili ad affidare l'impresa comune ad una leadership forte. Si preferisce optare per delle figure dal profilo basso e moderato, capaci di trovare dei consensi... o di rassegnarsi. E si stabilisce come un assioma che i cittadini europei non vogliono fare un'Unione dal profilo piu' energico e piu' marcato.
Per molti spagnoli della mia generazione, e' difficile non avere questa attitudine come un confortevole fallimento, una sorta di frustrazione. Coloro che sono stati giovani durante la dittatura franchista sono stati presi da un entusiasmo europeo che potrebbe essere naif, che si riassume una formula attribuita al filosofo José Ortega e Gasset: “La Spagna e' il problema, e l'Europa la soluzione”. Ma questa soluzione è rimasta un po' al di sotto dele più alte aspettative in essa riposte. Noi comprendiamo oggi che l'Europa, l'Unione europea, e' incontestabilmente una soluzione ma non importa quale Europa e non importa quale unione... una unione che accorpa condizioni che sembrano oggi seriamente compromesse, o definitivamente scartate.
Io continuo a credere che l'Europa che vale la pena e' quella che difende e rappresenta i cittadini, non i territori. Quella che protegge molto di piu' i diritti politici (e i doveri, sia chiaro) e le garanzie giuridiche piuttosto che i privilegi e le tradizioni vuote che derubano abitualmente questi privilegi agli stranieri. Che assicuri l'integrita' degli attuali Stati democratici di diritto contro le rivendicazioni etniche disaggreganti, sempre retrogradi e xenofobe. L'Europa che vale la pena e' quella della liberta' alleata alla solidarieta', non l'Europa chiusa a chi bussa alla sua porta perche' politicamente perseguitato o per necessita' economiche. Non e' l'Europa trincerata dietro i suoi profitti, ma l'Europa aperta, desiderosa di cooperare, di aiutare e di spartire. L'Europa dell'ospitalita' razionale.
Questa Unione europea ha bisogno di europeisti, di europei militanti, capaci di contrastare le politiche europee con la vista corta. In tutti i Paesi -lo si e' visto nella Repubblica Ceca e negli altri Paesi dell'est, ma anche in Inghilterra, in Irlanda e anche in Francia- si fanno spazio leader e gruppi nazionalisti, partigiani di un protezionismo rigoroso nei confronti dell'esterno e di un liberalismo estremo all'interno, con una mentalita' da hooligans con valori ipostatizzati, che si trincerano nelle difese piu' esclusive per far si' che il grande “Altro”, di cui hanno hanno paura, faccia parte della festa. Cioe', gli europei solo per chi beneficia dei loro interessi piu' chiusi (e molto cristiani). Un integrismo che definisce le radici europee in modo selettivo, privilegiando il punto di vista dei piu' conservatori con l'esclusione di una tradizione in cui la ricchezza viene, giustamente, dalla discussione tra le proprie contraddizioni.
Ma c'e' anche un altro pericolo, quella frivolezza della buona coscienza multiculturale che si oppone al cristianesimo esclusivo non in nome della laicita' democratica, ma per difendere altri dogmi religiosi che si pretende siamo molto superiori alle leggi civili nonche' alla versione occidentale dei diritti dell'uomo. L'Europa auspicabile e' un'Europa dove le convinzioni religiose e filosofiche sono un diritto per tutti ma un dovere di ognuno, e ancora meno una obbligazione generale della societa' nel suo insieme. Uno spazio politico radicale e di conseguenza laico -che non vuol dire anti-religioso- dove le leggi civili sono al di sopra di ogni considerazione fideista, etnica o culturale e dove c'e' una distinzione chiara tra cio' che alcuni considerano peccato e cio' che tutti invece dobbiamo considerare come un delitto. Un'Europa in cui lo spazio accademico e universitario permettono la mobilita' professionale degli studenti e dei professori, ma in cui l'universita' non e' al servizio degli interessi delle aziende e della redditivita' immediata. Un'Europa del talento senza frontiere, non dei salari e del profitto. Si', e' certo, noi abbiamo bisogno di cavalli che ci conducano, ma abbiamo anche bisogno di cocchieri che sappiano dove noi vogliamo andare. Credo che non sia troppo tardi per questo.
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