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Vendere in finanza: anche i clienti
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Articolo di Alessandro Pedone
29 marzo 2023 12:55
 
 In Italia, il modello di “consulenza” prevalente nel mondo della finanza personale è quello basato sulla vendita di prodotti finanziari. Questi prodotti inglobano costi difficili da identificare e comprendere per i clienti, decisamente più elevati rispetto alla media degli altri paesi occidentali. La maggior parte di questi costi viene retrocessa alle banche e alle altre reti di distribuzione finanziaria (tra le più grandi in Italia ricordiamo: Mediolanum, Allianz, Fineco, Fideuram - Intesa San Paolo, Generali, Azimut, Deutsche Bank e molte altre più piccole). Con questa notevole fonte di entrata, le banche e le reti di distribuzione finanziaria pagano i dipendenti e gli agenti di commercio collegati (che in Italia prendono il nome di “Consulenti Finanziari abilitati all’offerta fuori sede”). Questi ultimi sono quelli che hanno il rapporto diretto con il cliente e in teoria sono quelli che dovrebbero svolgere la consulenza.

Nelle scorse settimane, a livello di istituzioni europee, è stato piuttosto acceso il dibattito sulla proposta di vietare la retrocessione delle commissioni sui prodotti di risparmio gestito, eliminando in questo modo la principale fonte di ricavi per le reti di vendita. Al momento sembra che non se ne farà nulla per l’opposizione dei principali governi, tra cui l’Italia.

Ritengo che il modello attuale sia comunque destinato a soccombere. Ci vorranno probabilmente diversi anni, ma le crepe nel sistema sono ormai sempre più evidenti a tutti. In questo articolo affronto una stortura di questo modello, probabilmente meno conosciuta dalla maggioranza dei clienti delle reti di distribuzione finanziaria, che evidenzia come l’attività di vera consulenza sia strutturalmente incompatibile con l’attività di vendita.

Consulenza vera o strumentale?
Il termine “consulenza” è molto inflazionato. La definizione che fornisce la Treccani al termine è la seguente: “prestazione singola o saltuaria di consigli e pareri da parte di un esperto su materie di propria competenza, o come prestazione continuativa e professionale.” Nel mondo della vendita di prodotti e servizi, specialmente di tipo complesso, è ormai diffusa la pratica di chiamare i venditori con termini che richiamano un'attività di informazione o consulenza. In medicina coloro che propongono ai medici di prescrivere un determinato farmaco al posto di un altro si chiamano “informatori scientifici” ma si tratta a tutti gli effetti di una rete di vendita. 
Ugualmente, nel mondo della finanza, gli agenti di commercio che collocano i prodotti finanziari, si chiamano “Consulenti Finanziari Abilitati all’offerta fuori sede” (che poi tutti abbreviano in “consulenti finanziari”). E’ evidente che il tipo di “consulenza” che possono erogare è quella strumentale all’attività di vendita. 
Il presupposto, certamente non sufficiente ma indispensabile, affinché un consiglio o parere possa essere nell’interesse di colui che lo richiede è che il consulente non abbia un interesse specifico nell’indirizzare il suo cliente verso un determinato comportamento. 
E’ del tutto evidente che se il consulente (o la società che lo paga) guadagnerà di più o di meno in funzione della scelta che farà il cliente che riceve il consiglio, quel consiglio non si può definire una vera consulenza, ma - se proprio vogliamo giocare con le parole - una consulenza strumentale alla vendita. 

Le storture generate dalla vendita in finanza
Il ruolo degli agenti di commercio collegati alle reti di distribuzione finanziaria è sostanzialmente quello di usare le doti relazionali per fare in modo che i clienti restino investiti nei prodotti distribuiti dalla rete e - possibilmente - spostino più soldi possibili da altre banche o reti di vendita finanziaria verso quella per la quale lavorano. 
Il problema fondamentale è che in finanza i clienti non hanno la minima idea del valore di ciò che stanno comprando. 
Un prodotto finanziario che costa il 3% del capitale investito all’anno ed un prodotto finanziario che costa lo 0,15% all’anno svolgono esattamente la stessa funzione di diversificazione. La diversificazione  è l’unico vero servizio utile che si acquista attraverso un prodotto finanziario. Tutto il resto sono esclusivamente chiacchiere che servono al produttore del servizio per convincere un potenziale cliente a spostare i soldi presso di lui. 
La differenza fra i due tipi di prodotto è semplice: il primo, attraverso i costi, distrugge il patrimonio del cliente negli anni. Il secondo lo accresce. Quali dei due prodotti consiglierà il consulente-venditore?
Il cliente non è minimamente in grado di capire cosa sta acquistando, quindi è in balia delle capacità relazionali del venditore. 

Il consulente-venditore, a sua volta, dopo il cliente, è l’anello più debole di tutta la catena che distrugge i risparmi degli Italiani. La “fetta” delle commissioni che arriva a lui è molto piccola. 
Per riuscire a tirare fuori un reddito importante, il consulente-venditore è costretto ad avere un portafoglio clienti composto da svariate centinaia di clienti.

La rete di vendita di prodotti finanziari più grande in Italia è Banca Mediolanum. Sulla base dell’ultimo comunicato stampa presente nell’area Investor Relation del loro sito, il numero totale di clienti si attesta a 2.302.300 ed il numero di agenti collegati è pari a: 5.762. Fatti i calcoli, mediamente, ogni “consulente” di Mediolanum ha praticamente 400 clienti (399,5 ad essere precisi). Diciamo che una parte di questi clienti fanno parte dello stesso nucleo familiare e - volendo essere molto magnanimi - diciamo che i rapporti effettivi sono 200. Mediolanum non è affatto un caso isolato. Gli agenti di commercio collegati alle reti di distribuzione finanziaria, per poter portare a casa un reddito accettabile, devono avere svariate centinaia di clienti in portafoglio, altrimenti non rientrano nei costi. 
Gli agenti di commercio, infatti, sono singole Partite IVA che hanno i loro costi di ufficio, automobile, in alcuni casi di segreteria personale, ecc. 
Sicuramente ci sono tanti agenti collegati alle reti di distribuzione di prodotti finanziari che hanno tanta esperienza nel mondo della finanza. Astrattamente, alcuni di loro potrebbero anche svolgere una vera consulenza finanziaria ai clienti. Con tutta la buona volontà del mondo, però, anche volendo prescindere dal fatto che dovrebbero consigliare i prodotti che costano di meno e quindi che abbattono il proprio reddito, materialmente come possono fare consulenza ad 200 clienti in un anno? Non c’è proprio il tempo materiale. 
In sintesi, l’attività di vendita in finanza è del tutto incompatibile con l’erogazione di una vera consulenza, resa cioè nell’interesse esclusivo del cliente. L’attività di vendita rende materialmente impossibile suggerire ai clienti degli investimenti che siano effettivamente nel loro interesse. 

Storture nel rapporto con la mandante
Nel rapporto con la mandante, il consulente-venditore vale in funzione del patrimonio complessivo investito dai clienti che segue. Più patrimonio ha e maggiore è la quota delle commissioni pagate dai propri clienti che percepisce. 
Questo fa sì che i venditori più piccoli, per campare, devono massacrare i clienti di commissioni, mentre i venditori ormai affermati possono permettersi di trattare un po’ meglio i clienti offrendo loro prodotti con commissioni più basse, anche se sempre inaccettabili se confrontate con le alternative che i clienti potrebbero sostenere scegliendo i prodotti quotati nei mercati regolamentati, se solo lo sapessero.
Il fatto che i consulenti-venditori con portafogli molto grandi abbiano un grande valore per le reti di distribuzione innesca una sorta di “calcio-mercato” sia fra le varie reti di distribuzione, sia all’interno della rete stessa quando un consulente-venditore va in pensione. 
Questi consulenti-venditori più affermati sono corteggiati da altre reti di distribuzione per convincerli a far spostare i propri clienti presso di loro. Questo corteggiamento avviene con proposte economiche basate sul patrimonio complessivo spostato. 
Il prezzo pagato dalle reti al consulente venditore si aggira tra l’1 e il 2% a seconda del valore complessivo del patrimonio. 
Un consulente-venditore mediamente affermato gestisce un pacchetto clienti che investono circa cinquanta milioni di euro. 
I consulenti veramente affermati superano i 100 milioni di euro. 
Anche l’1,5% di questi patrimoni sono cifre importanti. 
I clienti, quindi, vengono di fatto “venduti” da una rete all’altra.
Quando un consulente-venditore decide di accettare la proposta di una nuova rete inizia a contattare tutti i clienti ed a farsi sentire più volte per cercare di capire quanta parte di loro riuscirebbe a spostare dall’altra parte. Per lui è un periodo di iper lavoro che potrà fruttare alcune centinaia di migliaia di euro di guadagno se riuscirà a spostare una fetta molto ampia di clienti. 

Questo passaggio è tipico dei consulenti-venditori che sono prossimi al pensionamento. Da qualche anno, per cercare di arginare l’emorragia dei clienti dei venditori più anziani è invalsa una pratica che considero particolarmente discutibile e che considero l’apoteosi del conflitto tra vendita e attività di consulenza. 
Per evitare che i propri agenti collegati spostino i clienti presso un’altra banca, quando il consulente-venditore decide di smettere di lavorare la rete di distribuzione per la quale lavora gli paga una percentuale nell’ordine di grandezza di quella che avrebbe pagato una rete concorrente. 
Per il consulente-venditore si tratta di incassare una cifra sostanziosa senza tutto il lavoro che richiede spostare un grande numero di clienti da una rete all’altra. 
Se la cosa finisse qui, non ci sarebbe nessun danno ulteriore per i clienti (rispetto a quello che già percepiscono annualmente per gli elevatissimi costi che subiscono). Ma la cosa non finisce qui. 
Questi clienti vengono riassegnati ad altri consulenti-venditori più giovani i quali devono pagare alla propria mandante il costo che quest’ultima ha pagato al consulente-venditore uscente. 
Si tratta di cifre che vanno dall’1 all’1,5% del patrimonio investito dai clienti. La mandante fa un finanziamento al suo consulente-venditore il quale, se il cliente resta dopo un certo periodo di mesi, dovrà pagare una cifra tutti i mesi per rimborsare il finanziamento. 
Il consulente-venditore più giovane, in genere, ha interesse ad accettare una proposta di questo tipo perché ha un numero di clienti più basso rispetto al consulente uscente ed ha più tempo per coltivare le relazioni con i clienti e convincerli a far spostare più soldi con la propria rete. In tre/cinque anni, con le commissioni che pagano i clienti, si ripaga il finanziamento e dopo può sperare di aumentare il suo reddito. Se riesce a convincere i nuovi clienti acquisiti ad aumentare i soldi investiti riesce ad andare in pari anche molto prima ed a guadagnare di più già dal secondo anno. 

La domanda che sorge spontanea però è questa: il consulente-venditore che ha fatto un debito con la propria banca per acquisire il diritto di guadagnare una parte delle commissioni che un determinato cliente paga alla propria mandante, dovendo scegliere su quali prodotti indirizzare il cliente, sarà orientato verso quelli che convengono al cliente o su quelli che gli consentono di ripagare il proprio debito?

Conclusione
Personalmente ritengo che la pratica di far pagare al consulente-venditore più giovane la “buona-uscita” del consulente-venditore più anziano sia il simbolo di un sistema che non può andare avanti ancora per molti anni. 
Man a mano che i clienti si renderanno conto che a  fronte dei costi che pagano, anche se indirettamente, non ricevono una reale consulenza, abbandoneranno sempre di più i prodotti di risparmio gestito inutilmente costosi a favore di una vera consulenza indipendente, direttamente pagata al professionista in modo totalmente trasparente. L’alternativa di una consulenza indipendente, sebbene esista in Italia da un paio di decenni, è entrata a far parte della reale possibilità di scelta, nella testa degli investitori, da pochissimi anni. Pur se attualmente è conosciuta quasi esclusivamente dagli investitori più evoluti, con gli anni si diffonderà capillarmente. 
La battaglia di retroguardia che si sta combattendo sul piano della regolamentazione europea vedrà sicuramente prevalere, nel breve termine, gli interessi delle banche nel mantenere lo status quo, ma nel medio-lungo termine la strada è segnata.  
 
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