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Assicurazione obbligatoria casalinghe. Alla ricerca del canto del cigno? Stato e legalita' compromessi
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Comunicato di Vincenzo Donvito
19 settembre 2014 12:11
 
 L'assicurazione obbligatoria per chiunque, tra 18 e 65 anni, contribuisca in famiglia con lavori domestici non remunerati e non ha una propria attivita' lavorativa (piu' nota come “Assicurazione casalinghe”) sembra che stia cercando di trovare un proprio modo di essere per evitare il suo declino, il cosiddetto “canto del cigno”: gli assicurati, dai 2,6 milioni del 2005, nel 2013 sono passati 1,370 milioni.
Questa assurda polizza/gabella (che per essere utilizzata minimo bisogna amputarsi un braccio: 27% inabilita') esiste dal 1 marzo 2001 e comporta il versamento annuale di 12,91 euro per pensionati; studenti (anche se studiano fuori sede); immigrati, ovviamente regolari; lavoratori in cassa integrazione e quelli in mobilita'; lavoratori stagionali temporanei e a tempo indeterminato (che pagano per tutto l'anno, ma la polizza vale solo per quando non lavorano). Il tasso di evasione di questa gabella e' alto, ed e' sintomatico del nostro sistema fiscale: in un contesto in cui l'evasione fiscale da parte dei contribuenti e' molto alta, e lo Stato con il suo potere legislativo (non di polizia tributaria) quasi nulla fa per invertire la prassi, e' stata data la possibilita' anche ai non-contribuenti di entrare a far parte degli evasori.
Il “canto del cigno” allo studio va in tre direzioni (1): estendere l'obbligo fino a 70 anni, la maturazione di una rendita anche in presenza di infortuni plurimi con invalidita' inferiore al 27%, far scattare la polizza da una invalidita' al 25 o al 20%. Tutto, ovviamente, considerando un aumento dell'attuale premio di 12,91 euro.
La domanda che ci poniamo e' la seguente: ma abbiamo proprio bisogno di questo obbligo? Un obbligo che, proprio per la limitatezza dei vantaggi per il contribuente (copre solo gli infortuni domestici molto gravi), e' vissuto come una gabella ed e' un lampante invito a non onorarlo e quindi a fomentare la cultura dell'illegalita'. Siccome noi crediamo che la cultura e la pratica della legalita' debbano essere stimolate non con lo spauracchio della sanzione, ma con una precisa dinamica di diritti e doveri, i casi sono due: o si sanzionano tutti gli evasori o si legifera in modo tale che gli evasori non siano creati dallo stesso Stato. Va da se' che si tratta di due modelli di Stato: il primo e' quello che vuole avere a che fare con dei sudditi, il secondo e' il cosiddetto “Stato minimo”.

(1) fonte: IlSole24Ore del 19/09/2014
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