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Coronavirus e panico. Tanti consigli… ma c’è anche chi vende….
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Comunicato di Vincenzo Donvito
12 febbraio 2020 10:04
 
 “Ciao. Sei pronta per il tuo week-end a Madrid… per San Valentino, che romantico”. “No, non partiamo più, il mio partner ha paura dell’infezione del coronavirus, io -figurati - sono andata proprio oggi da un parrucchiere cinese, ma non posso andare in viaggio con uno angosciato dalla paura dell’infezione”. “Ma non andavate a Madrid?”. “Sai, aeroporti, persone che vengono da tutte le parti del mondo”. “A parte che i voli dalla Spagna alla Cina sono bloccati da un bel po’. Comunque, capisco te, non certo il tuo compagno di viaggio. Ma ci rimetti tutti i soldi...”. “No, solo il costo dei biglietti aerei. Low cost, quindi poco”.

E’ una delle tante conversazioni che possono avvenire in questi giorni. Anche se tutte le Autorità sanitarie in Europa ci stanno dicendo che è molto più probabile che ci caschi in testa un vaso di fiori scivolato da un balcone che non infettarci col coronavirus, la reazione di alcuni umani è anche come nel dialogo che abbiamo sopra riportato.

Perché accade questo? La sensibilità, l’attenzione, la cultura e la paura sono caratteristiche degli umani. Caratteristiche che se vengono poi applicate alla presunta propria salute, non è difficile che sfocino nell’irrazionale.
Ma come si sviluppano queste caratteristiche nell’umano? Tutto in rapporto alle specifiche relazioni (informazioni e non solo) del singolo, filtrate attraverso la sua cultura, le sue abitudini.
Nella nostra società dell’informazione a 360 gradi, grande ruolo viene svolto in merito dagli operatori mediatici. Positivo perché abbiamo a disposizione tutto e il contrario di tutto, e dovrebbe essere più semplice farci un’opinione. Negativo perché non sono pochi quelli che in questo “tutto” letteralmente si smarriscono e, di conseguenza, sviluppano solo le informazioni che sono stimolate dai propri presupposti esperenziali e culturali. Quest’ultimo “negativo” sembra proprio il caso del nostro viaggiatore mancato per Madrid.

Determinante diventa la funzione di chi e come dà queste informazioni. E qui, spesso, accade che il mix di presunto business (titoli ad effetto per attirare più lettori e dare maggiore valore economico alle inserzioni pubblicitarie presenti nella pagina) e missione dell’informatore dia risultati “discutibili”.

Un titolo di oggi sui giornali fiorentini: “Ferragamo e l’effetto virus: costretti a chiudere in Cina”. Ferragamo è una nota casa di moda fiorentina (con diversi negozi nel mondo, Cina inclusa), quindi, visto che siamo su giornali toscani, il lettore che legge i tanti titoli sulle vicende del coronavirus si ferma con maggiore attenzione perché Ferragamo “è roba di casa propria”, e potrebbe meglio riguardare la propria quotidianità. La costruzione della frase, con quel “in Cina” alla fine, anche se ci sarebbe dovuta essere una virgola per “estraniarlo” completamente, che viene comunque letto come un di più… fa fermare il lettore a “Ferragamo e l’effetto virus; costretti a chiudere...”. E il lettore, in una veloce acquisizione di concetti e aspettative (stiamo parlando del coronavirus di cui si parla ovunque), facilmente acquisisce il concetto che a casa propria (Ferragamo) si è costretti a chiudere per il virus.
Questa piccola analisi di un titolo, insieme a tante altre vicende e informazioni, ci fa capire perché il nostro timoroso ha deciso di non festeggiare il proprio San Valentino a Madrid.
Forse sarebbe il caso che chi ha certe responsabilità mediatiche sia più consapevole di quanto bene e quanto danno possa contribuire a sviluppare.
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