"Che sòla", si direbbe a Roma. Ci riferiamo alla fornitura di vaccino della azienda farmaceutica anglo-svedese Astrazeneca, con la quale la Commissione europea aveva stipulato un contratto per la consegna, nel primo trimestre di quest'anno, di 120 milioni di dosi e, invece, a oggi, ne ha consegnati poco più di 10.
Possiamo capire tutte le ragioni di un ritardo dovuto alla improvvisa richiesta di milioni di dosi, ma consegnare il 10% di quanto pattuito non ha ragioni.
Nel contratto stipulato ad agosto scorso, tra la Commissione europea e Astrazeneca, si legge che l'azienda "dovrà usare il "massimo sforzo possibile per produrre il vaccino nei siti di produzione che si trovano all'interno dell'Ue, incluso il Regno Unito" e "potrebbe produrre il vaccino in strutture fuori dall'Ue, se fattibile, per accelerare i rifornimenti in Europa". Questa clausola generica era stata inserita perché al momento della sottoscrizione del contratto, ad agosto scorso, non esisteva ancora il vaccino, che ora c'è e valgono gli accordi.
Comunque, il massimo sforzo possibile sarebbe il 10% di quanto concordato?
I ritardi nella produzione e consegna del vaccino non sono della Ue ma di Astrazeneca. Eppure sui media leggiamo il contrario.
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