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I CANONI E LE TASSE NELLA VIA ITALIANA AL CAPITALISMO
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Editoriale 
15 dicembre 2000 0:00
 
Alcune delle notizie "clou" di questo scorcio di fine anno/millennio, sono quelle relative ai canoni, e ai loro aumenti -rigidamente all'insu' (mai visto il contrario?)- per questo o quell'altro servizio.

Abbiamo voluto affrontare la questione alla lettera.
Districandoci tra i vari significati che lo Zingarelli da' alla parola "canone", quello per il nostro caso recita: "controprestazione in denaro o in derrate che viene pagata periodicamente". Lasciando stare le "derrate" (ve l'immaginate le derrate che, spontaneamente, ci verrebbe in mente di utilizzare per pagare le prestazioni di Telecom e della Rai?), disquisiamo solo relativamente al denaro.
Nello stesso tempo, sempre con l'ausilio dello Zingarelli, alla parola "tassa", leggiamo: "prestazione pecuniaria dovuta allo Stato o ad altro ente pubblico per la esplicazione di un'attivita' dell'ente che concerne in modo particolare l'obbligato".

Facendo mente locale ai canoni che paghiamo senza possibilita' di alternativa nell'uso del gestore, ci vengono in mente: gas, acqua, elettricita', telefono fisso, televisione.
La discriminante tra tassa e canone e' tutta nell'obbligato: senza questo obbligo non si potrebbe parlare di tassa.

La politica economica dello Stato italiano, fino a qualche anno fa, si e' esplicata con i monopoli, e la compenetrazione -anche lessicale- della tassa con il canone, e' stata tale che ci ha fatto perdere la capacita' di distinzione. Anzi, a ragion veduta, possiamo dire che l'uso della parola canone e' servito a far meglio digerire cio' che in pratica era una tassa: percio' abbiamo accettato di pagare come canone il gas (tutto sommato avremmo sempre potuto usare, in alternativa, il gas in bombole o il fuoco del camino), l'acqua (l'alternativa erano i pozzi, attingendovi piu' o meno manualmente), la luce elettrica (in alternativa avremmo potuto farne a meno), il telefono fisso (c'era pur sempre il servizio postale), la televisione (un bene decisamente voluttuario).

Nel frattempo, pero', siamo arrivati alle soglie del nuovo millennio, e le abitudini sono decisamente cambiate rispetto a quanto dicevamo sopra sulle possibili alternative, ma non e' cambiato come acquistiamo questi servizi. Quindi il loro essere canoni di qualcosa su cui, grosso modo, potevamo trovare un'alternativa, non e' piu' tale, perche' l'alternativa e' solo fare a meno di servizi fondamentali.

Le menti economiche del nostro Stato, queste cose, le sanno bene, e, pressati essenzialmente dal dover ottemperare alle disposizioni della Ue (per i presunti vantaggi che, dicono, dovremmo avere), hanno avviato un processo di privatizzazione e de-monopolizzazione di questi servizi, facendo molta attenzione perche' alla parola canone non fosse sostituita quella di tassa, altrimenti, sempre i presunti benefattori dell'Ue, gli avrebbero tirato le orecchie.

E quindi oggi paghiamo questi canoni, magari a societa' di capitale (a prevalenza pubblica o privata, nel nostro caso, poco importa) con tanto di quotazione in Borsa, ma sono soldi che diamo per servizi che non possiamo scegliere, e, visto che si tratta di servizi di primaria importanza, siamo azzardati nel considerare questi canoni come una tassa?

Potremmo asserire che la via italiana al capitalismo e' stata in grado di creare, con l'uso di forme ibride, un nuovo sistema del pagamento in denaro di alcuni servizi di primaria necessita': il "cassa" o il "tanone" ... che sono cacofonicamente brutti, per cui -reso il concetto- si puo' inventare anche una parola nuova.

Ma resta la beffa, perche' tanto scemi, non siamo, e siamo in grado di capire come tutto questo impedisca la concorrenza, mortificando l'iniziativa imprenditoriale, e riflettendosi su qualita' e costo del prodotto al consumatore finale.

Qualcuno potra' obiettare che siamo nella fase di passaggio, ed e' il prezzo da pagare verso il libero mercato. Ci si consenta di dubitarne, proprio per quello che sta accadendo in questi giorni col canone della Telecom (di cui ne parliamo ampiamente nel settore delle iniziative di questa prima quindicina di dicembre), e per questa breve e sintomatica vicenda, fresca fresca, che portiamo come esempio: il Comune di Brescia ha avviato la privatizzazione delle farmacie comunali, e come primo passo dovra' costituire una societa' per azioni -in cui lui stesso e' azionista unico- a cui verra' assegnato il diritto di farmacia; una sorta di concessione che potrebbe giungere anche fino a 99 anni, dopodiche' potra' cominciare a vendere le azioni, ma conservando per se' almeno il 20%.
I figli dei nostri figli, vedranno? Ma come oggi marciano con il "cassa" o il "tanone", siamo maligni nel credere a future innovazioni di questo bizzarro e vampiresco sistema di pagamento?
(Vincenzo Donvito)
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