Consumatori che spendono meno, ma non è vero. Lavoratori più occupati ma con stipendi più bassi delle medie Ocse e con meno potere d’acquisto.
Istat ha confermato i dati preliminari sull’inflazione di giugno: +0,1% mensile +0,8% annuale. Occasione di vanto di chi ci governa e di balbettio di chi fa opposizione.
Il vanto del governo si affianca anche alla crescita della occupazione, così come riconosciuto dall’Ocse.
Un’inversione di rotta rispetto ai periodi precedenti quando però, a differenza di quanto dicono al governo, non erano periodi in cui la colpa era dell’attuale opposizione, ma anche di partiti (tipo Lega e Forza Italia) che da una ventina d’anni sono stati sempre al governo.
E’ in atto uno sporco gioco sulla pelle di consumatori e lavoratori, omettendo particolari determinanti che oscurano le capacità del governo.
Sull’infazione, i numeri bassi sono solo dovuti al continuo calo dei prodotti energetici (-8,6%) che calmierano la crescita di alimentari (+0,3%), ricreativi, culturali e cura della persona (+4%), mentre il carrello della spesa registra +1,2%. E i prezzi energetici sono conseguenza delle politiche Ue non di quelle nazionali.
La crescita dell’occupazione, comunque inferiore alla media dei Paesi dell’Ocse, è molto anomala: in Italia gli stipendi, rispetto all’inflazione, hanno perso maggiore potere d’acquisto. Bassi salari che avrebbero spinto le aziende italiane ad aumentare le assunzioni, perché è più economico che non fare investimenti in macchinari, tecnologie, ricerca e sviluppo. Le conseguenze per produttività e lavoro sono disastrose. Dal 2001, gli stipendi sono aumentati del 75% nell’industria, mentre nella pubblica amministrazione e nei servizi solo del 45%. Per cui accade che la retribuzione annuale lorda di un docente italiano è di circa 24mila euro, contro i 28mila dei francesi e i 54mila dei tedeschi.
Sono questi i numeri delle “capacità del governo italiano”, se non, invece, i numeri di un gioco sporco?
Consumatori che spendono meno, ma non è vero. Lavoratori più occupati ma con stipendi più bassi delle medie Ocse e con meno potere d’acquisto.
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