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Viaggio
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Articolo di Carlo Romeo
4 febbraio 2024 12:39
 
 Ogni spostamento, anche il più banale e prevedibile, può diventare e diventa un viaggio nel più proprio dei termini, se gli occhi sono quelli del viaggiatore. Come ogni viaggio, talvolta può diventare tragedia. Devo essere a Roma Tiburtina per mezzogiorno quindi vista dell’alba sul mare dal Montefeltro poi Marecchiese in velocità più o meno consentita e treno per Bologna. Costa un capitale ma non ci sono alternative perchè quello che avevo previsto ha un ritardo di 10?.

Arriviamo a Bologna in orario e si va al binario 19 da dove è prevista la partenza del treno Italo per Roma delle 9.42. Che è in ritardo di 5? annuncia il tabellone. Che alle 9.41, annuncia l’altoparlante, arriva al binario 6. Se non si ha consuetudine con la stazione di Bologna, occorre specificare che il trasferimento dal binario sotterraneo 19, dedicato all’alta velocità, al binario 6, rappresenta praticamente un viaggio nell’incognito. 

Segnali confusi e improbabili, messi lì per chi sa già la strada come spesso accade in Italia. Ascensori che non sai se sono guasti o soffrono di antiche pigrizie. Scale e persone con valigioni quattro stagioni, trasformate in sherpa che procedono a fatica nell’ascensione. Corridoi affollate e poi finalmente la scala per i binari 6 e 7, anche quella piuttosto ripida.

Mi soffermo a pensare che se ero con una certa persona di mia conoscenza – e che peraltro ama molto stazioni e treni fin da quando era piccolissimo – con tutte quelle scale il treno sarebbe stato sicuramente perso ma, senza andare sul difficile, anche una mamma con una carrozzina avrebbe avuto la medesime difficoltà. Nel frattempo mi si spacca in due il manico della borsa Slam cui peraltro ero molto affezionato. Niente di grave, intendiamoci. Imbocco dunque le ennesime scale e mi ritrova su al binario 6. Il ritardo è diventato di dieci minuti ma c’è il sole se fosse notte invece si sarebbe ritornati a riveder le stelle.

Pensavo di chiudere qui la storia e invece il rientro a Rimini diventa improvvisamente tragico, nel più proprio senso del termine. Regionale affollatissimo da Bologna per Ancona. È il weekend e quindi ci si sposta in tanti ma, dopo un paio di fermate, riesco a sedermi sullo strapuntino davanti alla porta del primo vagone, a qualche metro dalla cabina del conducente. Arrivati a Forlimpopoli sento chiaramente qualcosa come se si fosse rotto qualcosa negli ingranaggi delle ruote. Il treno si ferma e dopo qualche minuto ci annunciano che il treno ha investito un uomo sui binari.
Siamo in aperta campagna. Non si può uscire mentre si aspettano Polfer, medico legale e magistrato. La gente reagisce bene anche se ancora non è chiaro cosa succederà. Il senso della tragedia colpisce molti mentre c’è qualcuno invece che è – e lo rivendica pure – preoccupato esclusivamente dei fatti suoi e in qualche caso, al limite, di non poter fumare. I viaggiatori – fino a quel momento isole nella corrente – diventano a quel punto una comunità sia pure molto provvisoria. Si comincia a parlare. C’è chi fa girare la propria acqua a persone anziane che sono in difficoltà.

Vedo padre e figlio entrambi spagnoli. Il figlio è un ragazzo giovane e preoccupato per il padre anziano che ha problemi di respirazione. Lo facciamo sedere vicino alla porta e i ferrovieri lasciano uno spiraglio aperto ma rigorosamente controllato. Passano i minuti poi le ore. Il branco selvaggio dei fumatori dipendenti rumoreggia. Si trovano compromessi e la buona volontà aiuta a cercare di sopportare il proprio prossimo nei limiti del possibile.
Due ragazzi, Lorenzo e un altro più piccolo leggermente metallizzato in faccia – sono stati con una loro compagna a vedere alloggi a Bologna. Sono all’ultimo anno di liceo e tocca pensarci. Ci si parla volentieri insieme, un po’ per ammazzare il tempo, un po’ perchè è un mondo sconosciuto quando finisci per avere parecchie decadi alle spalle. Lorenzo vuole fare Arti visive o comunque qualcosa che gli consenta poi di insegnare al liceo. Gli piace il mestiere di insegnante e si vede. È toccato anche lui parecchio dalla tragedia che è successa.

Non sappiamo se sia un incidente, un suicidio – ipotesi probabile visto dove siamo, praticamente nel nulla – eppure a un certo punto gira anche la voce che la vittima si stesse facendo un selfie. Le agenzie comunque, il giorno dopo, parleranno – per quanto possibile – di suicidio. Il capotreno, un trentenne alto, riesce a gestire una situazione difficile molto bene con il suo personale. Molto bravo, lavora in sicurezza ma al tempo stesso con attenzione per i passeggeri, dimostrando che professionalità e gentilezza – sia pure ferma – sono necessariamente legati. Lui è uno che sente che i viaggiatori sono gente che gli è stata affidata e questo non è poco.

Il treno riparte dopo qualche ora ma finisce a Rimini. Il capotreno e il personale della stazione cercano di trovare soluzioni per chi dovrà proseguire. Non riesco a vedere, nella ressa, i ragazzi anconetani e quindi immagino una soluzione trovata mentre mi preparavo già a una corsa in macchina fino a Ancona. Un’ora andare, un’ora a tornare e che sarà mai. Resta nel cervello quel rumore di qualcosa che si rompe e che più che alla morte fa pensare alla vita, quando non vede vie di uscita. Da antico e reiterato ateo o non credente – o se si vuole, credente in altro, tanto per citare Marco – mi avvicino in momenti come questi a capire il senso della preghiera. Kaddish, Janazah o Requiem che sia.
 
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